Il Def targato Meloni-Giorgetti: un terribile inverno per la finanza pubblica e l’economia tutta

  • Postato il 26 aprile 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Il caos economico internazionale scatenato da Trump ha fatto andare in sordina le cose di casa nostra. Alla chetichella, senza tanta pubblicità stavolta, il governo ha approvato il Def (Documento di Economia e Finanza) ad aprile, il prospetto della finanza pubblica per il prossimo triennio (ora ridotto per ragioni misteriose a un biennio). Negli anni precedenti i nuovi dati erano serviti al governo per raschiare il fondo del barile e raccogliere qualche miliardo da destinare alle consuete misure populiste. Quest’anno la situazione si presenta capovolta, e anche più problematica con le stime di crescita governative già smentite al ribasso dall’Ocse.

Qual è la cifra interpretativa del Def 2025? Per capirla è utile confrontare il nuovo documento con quello dell’anno scorso. Nel precedente Def l’elemento di novità era rappresentato dalla fiscalizzazione degli oneri sociali, a quel tempo provvisoria. Poi si sa come è andata. Con la legge di bilancio per il 2025 la fiscalizzazione è stata trasformata nel bonus fiscale Meloni e anche l’Irpef è stata ridotta. L’intervento complessivo è costato 18 miliardi di euro che graveranno sulla finanza pubblica dal 2025 in avanti. Poiché questi soldi non ci sono a causa della bassa crescita, viene di chiedersi come le somme siano state, e saranno, coperte.

La risposta arriva proprio dal Def del 2025. L’aspetto fondamentale della nuova linea di politica economica del nostro governo di destra è quello di una super austerità. Tutte le principali voci del bilancio dello Stato virano nei prossimi anni al ribasso con tagli e riduzioni. Nel complesso la spesa corrente passa dal 41,4 % del Pil del 2025, addirittura al 40,5% nel 2027. Si tratta di quasi un punto in percentuale del Pil che equivale a circa 17 miliardi. Un taglio di queste dimensioni non si era mai visto finora, se non in caso di crisi finanziaria aperta. Un terribile inverno per la finanza pubblica e anche per l’economia italiana che da essa dipende.

Nel dettaglio, la quota dei redditi da lavoro dipendente passerà da 9% del Pil del 2024 all’8,7% del 2027. Quindi, non solo nessun aumento visto che ci sono i nuovi contratti all’orizzonte, ma addirittura una diminuzione. Il governo Meloni, a parole il più statalista di sempre, non ha previsto alcun recupero dei tagli subiti dall’aumento dell’inflazione per il periodo 22-24. I pubblici dipendenti dovranno rinunciare a recuperare il 10% del loro stipendio e della pensione futura, quota sottratta ad arte dal governo. Qui tocca al prossimo governo riparare a questa palese e ingiusta discriminazione. La extra-destra della Meloni non ama i quattro milioni di dipendenti pubblici, come a suo tempo il mentore Berlusconi.

Ma se i pubblici dipendenti non sorridono, i cittadini non possono certo stare allegri. Il taglio riguarda non solo i redditi dei dipendenti pubblici ma tutti i servizi pubblici. La spesa in questo campo sarà ridotta di circa 8 miliardi in due anni. Questo significa che non ci saranno fondi per migliorare la sanità, la scuola e tutti gli altri servizi offerti dallo Stato.

L’intenzione del governo è palese. La riduzione fiscale individuale non è gratis ma sarà pagata dai contribuenti semplicemente con il taglio netto dei servizi. L’attacco allo stato sociale procede senza se e senza ma, anche senza l’azione del cruento miliardario sudafricano Elon Musk.

L’unica voce che aumenta è quella degli interessi sul debito pubblico che in tre anni crescerà cumulativamente del 16%. La sig.ra Meloni non solo ha realizzato il debito pubblico più grande di sempre, portandolo a superare quota 3.000 miliardi, ma incatenerà i governi successivi a una spesa per interessi insostenibile. Poco importa che i risparmiatori italiani siano tornati a comprare Bot. Gli elevati interessi che oggi il governo paga per indebitarsi allegramente si trasformeranno in tasse per molti, anche se non per tutti. C’è poi da chiedersi da dove provenga tutta questa liquidità nostrana che magari è originata da tasse poco o mai pagate.

Guardando a questi dati, ancora più irrazionale appare il capitolo dedicato alle spese militari che l’Europa ci chiede di portarle al 2% dall’attuale 1,5% del Pil. Si tratterebbe di altri 8/10 miliardi. Tagliare la spesa corrente per servizi ai cittadini e aumentare le spese militari è il segno di una politica economica non solo sbagliata, ma del tutto irrazionale. La destra nostrana su questo dovrebbe riflettere.

Il ministro Giorgetti deve essersi chiesto come trasformare questo triste e grigio panorama in un’opportunità. I miei colleghi aziendalisti, cultori dell’ottimismo, mi spiegano sempre che un problema è un’opportunità che non vedi. Forse per questo, in maniera abbastanza dilettantesca e anche grottesca, ha proposto un allentamento del patto di stabilità a seguito della crisi dei dazi. Proposta subito evaporata per la sua inconsistenza che dimostra una volta di più la nostra scarsa credibilità a livello europeo, aggravata, se possibile, dagli inutili voli pindarici della premier alla corte del nuovo satrapo del commercio internazionale, il pirata Donald Trump.

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