Date un Nobel a Trump: festeggiamo la pace giusta!

  • Postato il 13 ottobre 2025
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di Paolo Ghion

I meccanismi della guerra sono simili e per tale motivo noi persone comuni siamo portati a fare sempre gli stessi ragionamenti e a dire le stesse cose. Il conflitto è un binario unico che annulla le distanze, perché le accresce al punto da sembrare inconcepibili e ci porta a seguire un punto indefinito. Intendiamoci: ci sono le foto, gli articoli di giornale, i libri, la divulgazione degli addetti ai lavori, degli storici, ma per quel che riguarda le persone come me, è come se non avessimo più nulla da dire, persino quando (o forse proprio) perché la guerra si mostra alla luce del sole e i leader parlano buttando giù la quarta parete. A proposito dei nostri leader… leoni in casa e gechi all’estero: camminano sulle pareti mentre ricoprono di escrementi i libri di storia, aggrappati a mattoni fatti di parole come “rischio” ed “inaccettabile”.

La guerra, per usare un eufemismo, è un grave contrasto tra due Stati. Se consideriamo che Israele non riconosce lo Stato di Palestina, viene a mancare la controparte del concetto. Premetto che parlerò al presente: sia perché i tempi e l’instabilità non permettono il lusso del passato, sia perché la tregua è una temporanea sospensione della guerra, ma se non è guerra quella tra Israele e un mucchio di persone falcidiate da proiettili e che muoiono di fame e stenti nella stessa zona, non c’è neanche una vera tregua.

La pace è la conclusione di una guerra. Se non è guerra quella tra Israele e un territorio raso al suolo, Israele ha vinto di fatto in un conflitto dove c’è un solo Stato. Ho il dubbio che riconoscere lo Stato di Palestina così in ritardo sia servito più a rafforzare il concetto di guerra, che quello di pace. E’ stato come aiutare dei bambini orfani proponendo l’emancipazione dai genitori. Quindi alla fine che cosa stiamo festeggiando? Se fosse tregua, tante case sarebbero ancora in piedi e molte più persone sarebbero ancora vive. Se fosse pace, sarebbe più definitiva.

Vuoi vedere che alla fine l’Italia è l’unica che si è impegnata per la pace? Sì, ha venduto armi ad Israele, ma è pur vero che ha subordinato il riconoscimento dello Stato di Palestina a regole tipo: allineamento di pianeti, fondi di caffè, dolori all’anca e la giusta fine di Hamas… poiché se avessimo detto che la Palestina esiste in quanto tale, sarebbe stata spacciata, invece come rinunciare alla protezione dell’anonimato? Se oggi Churchill fosse qui, immagino un suo discorso del tipo:”…combatteremo sui mari e gli oceani; combatteremo con crescente fiducia e col diritto all’oblio.”

L’attacco del gruppo terrorista Hamas è un dato incontrovertibile. Ricordiamoci però che sono sempre gli assassini in un popolo a creare e nutrire assassini in un altro popolo. Gli assassini non possono rappresentare il popolo e sono complici di un genocidio, dal momento che regalano l’ultimo miglio a chi freme di colpire seguendo la logica di una parte per il tutto. La lotta al terrorismo ha estirpato il terrorismo? No, perché Hamas è ancora lì. Forse cercare Hamas è stato come trovare Bernardo Provenzano: stava a casa. Anzi, proprio con Hamas si è negoziato il rilascio degli ostaggi, quindi si può dire che era tutto necessario per portarli a negoziare, o forse nulla era negoziabile sino all’intervento del terzo incomodo.

L’America è come l’alcol per Homer Simpson: la soluzione e la causa di tutti i problemi della vita.

Festeggiamo il piano di Trump (guarda caso l’unico), che dopo aver atteso il momento giusto, a posto fine al massacro che detto tra noi, probabilmente sarebbe finito comunque per assenza di persone vive; il che è come guardarsi le spalle ovunque ci si fermi, per segnare sul terreno la linea d’arrivo e poi esclamare: “Vittoria!”. Io dico date un Nobel a quell’uomo, non per la pace o per qualche scoperta scientifica su un nuovo tipo di O-ring impiantato nelle labbra in grado di resistere all’inverno, ma per la dimostrazione empirica di un fenomeno sino a poco fa inspiegato: la pace giusta.

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Il Fatto Quotidiano

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