Dire no agli uomini nei luoghi delle donne: perché D.i.Re ha espulso Artemisia

  • Postato il 27 ottobre 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Quando ho letto il post dell’associazione Artemisia di Firenze, nelle ore successive alla loro espulsione da D.i.Re per aver violato lo Statuto, sono rimasta interdetta: “Espulse per aver associato uomini”. C’era una sorta di risentimento verso una decisione che sapevano fosse scontata. I toni erano quelli di una lamentatio aggressivo passiva che denunciava una sorta di ingiustizia nei loro confronti. Alla lamentatio seguiva un pistolotto morale edificante, in glassa buonista, sulla concordia tra uomini e donne. Le reazioni emotive sui social per questa “ingiustizia” non hanno tardato a farsi sentire.

La notizia dell’esclusione di Artemisia è stata commentata negativamente da molte donne: “noi non odiamo gli uomini” (“uomini” spesso scritto in maiuscolo) in una sorta di febbrile abiura e presa di distanza dalle ‘cattive femministe’ che non vogliono uomini tra i piedi. Nelle stesse ore, centinaia di commentatori aggredivano la pagina Instagram Dire, sfoderando muscoli e mostrando i genitali (metaforicamente parlando). Una shitstorm che ha spinto Simona Sforza e Maddalena Robustelli a fare un appello in solidarietà a D.i.Re. Tra le firmatarie dell’appello Lea Melandri e Wanna del Buono, fondatrice di Artemisia.

La violenza verbale che ci ha investito ci parla di una cultura del femminicidio che è ancora ben radicata. E rende palese la dinamica che si scatena in molti uomini quando le donne decidono di dettare i loro confini e di buttarli fuori dagli spazi famigliari, sentimentali o politici. E tutto questo avviene in un mondo dove, ironia della sorte, gli “esclusi” occupano e abitano, da sempre, tutti gli spazi istituzionali e i luoghi di potere dai quali escludono sistematicamente le donne.

Alle compagne di Artemisia che salutiamo, augurando loro buon lavoro, rimproveriamo di avere tentato di imporre una modifica statutaria dopo essere state assenti a lungo dalle nostre assemblee. Non esito ad accusarle di scorrettezza per essersi sottratte ad un confronto più volte chiesto dall’allora presidente Antonella Veltri, disertando qualunque dialogo per poi mettere l’assemblea davanti ad una scelta fatta senza alcuna condivisione. Quello Statuto così come la nostra pratica politica, era stata tessuta insieme per anni, e stare in rete non significa solo condividere un logo ma una storia.

Le fiorentine si sono anche fregiate di realizzare percorsi di cambiamento insieme agli uomini. E quale sarebbe la novità? Da decenni le attiviste dei centri antiviolenza si confrontano con uomini che hanno fatto una profonda opera di decostruzione dei miti della virilità. Partendo da sé e ripercorrendo, con 50 anni di ritardo, la pratica femminista dell’autocoscienza, sono divenuti consapevoli dei contenuti che li addestrano ad agire violenza e a voler controllare la libertà delle donne.

Ma con questi pochi uomini, vogliamo essere libere di decidere quali spazi vogliamo condividere. Spiega Luisanna Porcu, presidente di Onda Rosa: “La presenza solo femminile nelle associazioni che li gestiscono non è una discriminazione ma una scelta di libertà. Serve a spezzare le dinamiche di controllo e di dominio che la violenza maschile riproduce ovunque. Serve a garantire uno spazio sicuro, dove nessuno debba misurare le parole o tradurre il proprio dolore sotto lo sguardo maschile”.

Sono state molte le reazioni e i commenti di attiviste che si sono espresse sull’esclusione di Artemisia. Femministero, collettivo femminista, ha scritto_ “Il femminismo è una stanza tutta per sé, ma che succede quando c’è un uomo alla porta? Il separatismo è stato la forza del femminismo, la pratica politica che ha permesso alle donne di conquistare parola, autonomia, libertà e diritti. Senza spazi solo femminili non ci sarebbe stata emancipazione, non ci sarebbero stati i centri antiviolenza, né quella rete di sorellanza che ha reso possibile la rinascita di migliaia di donne”.

Per chi contesta in punta di diritto, la risposta risiede nella stessa Convenzione di Istanbul nei passaggi in cui si spiega che “Le misure specifiche necessarie per prevenire la violenza e proteggere le donne contro la violenza di genere non saranno ritenute discriminatorie ai sensi della Convenzione”. Un principio in linea con la Cedaw e l’art 14 della Corte europea dei diritti dell’uomo: “Si può parlare di discriminazione solo nel caso in cui la differenza di trattamento non abbia una oggettiva e ragionevole giustificazione ovvero non persegua un obiettivo legittimo”.

La strumentalizzazione che sta facendo la stampa sullo “scandalo” dell’esclusione degli uomini, ci dice quanto i luoghi delle donne siano invisi, guardati con sospetto come se per essere legittimati nella lotta alla violenza contro le donne, dovessero accettare la presenza degli uomini. In questo contesto ostile che ci chiama ancora una volta a fare una resistenza per difendere i nostri spazi, la manifestazione di solidarietà ad Artemisia, da parte di Benedetta Albanese, assessora per le Pari Opportunità di Firenze, è stata fuori luogo. Se è stata legittima la scelta di Artemisia di aprire agli uomini, è stata altrettanto legittima la scelta di D.i.Re di decidere per l’espulsione.

Nell’assemblea della rete dei Centri antiviolenza che rappresenta tremila attiviste si è espressa la libertà e l’autodeterminazione delle donne, tutto il resto è paccottiglia patriarcale con il suo corredo di violenza che si palesa ad ogni no delle donne. Come sempre.

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Il Fatto Quotidiano

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