Disability Pride Month: che cos’è e perché l’Italia ha deciso di celebrarlo a settembre (e non a luglio)

  • Postato il 6 luglio 2025
  • Diritti
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Luglio è il mese simbolo dedicato alle rivendicazioni e all’orgoglio delle persone con disabilità. Il Disability Pride Month (DPM) nasce dai movimenti che soprattutto negli Stati Uniti lottavano per rivendicare diritti anche per le persone con disabilità. “Nulla su di noi, senza di noi” era lo slogan ripreso dagli anni ’60-’70. Viene scelto luglio perché proprio in quel mese (il 26 luglio 1990) il Congresso a Washington approva l’American with Disabilities Act (ADA), legge federale che sancisce il divieto di ogni forma di discriminazione ai danni delle donne e degli uomini con disabilità. Il movimento internazionale del Disability Pride, tra gli obiettivi preposti, lotta per portare avanti il contrasto all’abilismo sistemico e allo stigma che spesso accompagna la definizione di disabilità, creando una controcultura di ‘nuovi’ valori e riconoscendo la dignità di ogni essere umano.

“Il Disability Pride Month, voluto in primis dal sindaco de Blasio di New York nel 2016, sulla falsariga del mese del Pride lgbt+ (giugno), riconosce in maniera esclusivamente simbolica la vicinanza delle istituzioni alle istanze che i Disability Pride portano in strada. Grande problema è il fatto che i vari Disability Pride non si tengono tutti nel mese di luglio, a differenza di quello che succede per il Pride lgbt+, anche perché, e lo affermo con cognizione di causa, fare una manifestazione a luglio è quasi umanamente impossibile a causa delle elevate temperature che non consente a tantissime persone con disabilità di partecipare”. A dirlo a ilfattoquotidiano.it è Carmelo Comisi, il fondatore del primo Disability Pride Italia, tenutosi nel 2018 a Roma per ricordare i diritti dimenticati e le leggi non applicate.

“Abbiamo rispettato questa ‘barbara usanza’ (quella di farlo a luglio, ndr) dagli inizi fino al 2019, invece dal 2020 il Disability Pride Italia si tiene a fine settembre”, precisa Comisi, siciliano e tetraplegico dal 1997, a causa di un incidente stradale avuto all’età di 14 anni. Attivista per i diritti delle persone con disabilità da oltre 15 anni, ha fondato in Italia la Disability Pride Onlus, che organizza vari eventi dedicati alla sensibilizzazione sulla disabilità durante tutto l’anno. Eventi capaci di dar valore alle unicità delle donne e uomini con disabilità e di far sentire la voce di tutti con orgoglio e fierezza contro ogni forma di sopruso e ingiustizia. Comisi precisa che “in particolar modo negli Stati Uniti, queste manifestazioni avvengono sporadicamente e a macchia di leopardo in alcune città, senza una rete che li colleghi tra di loro, fosse anche in maniera informale come tuttora avviene in Italia con il Disability Pride Network. Nonostante la manifestazione sia nata proprio negli Usa per celebrare la conquista dei diritti ottenuti con il Disability Act”, aggiunge, “gli Stati Uniti non hanno mai ratificato la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità del 2006”. E con la presidenza Trump non sembra che le cose siano destinate a migliorare, anzi.

“Il Disability Pride Month è importante perché mette al centro l’orgoglio e l’identità delle persone con disabilità, ribaltando la narrazione pietistica e assistenzialista ancora troppo diffusa” spiega Valentina Tomirotti, giornalista, attivista e consulente per la comunicazione inclusiva. “In Italia è poco noto perché la disabilità è ancora vista come una questione privata o sanitaria, e non come una realtà sociale e culturale. Inoltre” aggiunge Tomirotti che, fra le varie cose, si occupa di accessibilità collaborando con enti, aziende e istituzioni, “attraverso progetti come Live For All e contenuti social, lavoro per cambiare la narrazione sulla disabilità, rendendola più reale e meno stereotipata. Spesso manca una rappresentazione nei media e nelle piazze: molti non si riconoscono perché non sono mai stati raccontati. È ora di rivendicare spazio, voce e visibilità, non solo diritti”.

A sottolineare il significato del DPM ci sono anche Elena e Maria Chiara Paolini (@witty_wheels) sorelle che vivono a Senigallia, nelle Marche. Sono entrambe persone con disabilità motoria, attiviste, si occupano di formazione e hanno scritto il primo libro in italiano interamente sull’abilismo intitolato “Mezze persone. Riconoscere e comprendere l’abilismo” (Ventura Edizioni) e “Che brava che sei! 8 storie di abilismo quotidiano” (Edizioni Laterza). “Il Pride è la ‘fierezza’ di essere persone disabili in un mondo che ci spinge a provare vergogna e a ‘disturbare’ il meno possibile”, raccontano le sorelle Paolini al Fatto.it. “È molto importante sia per una rivendicazione dei diritti più efficace che per un benessere personale in un mondo abilista. Ci sono vari temi urgenti tra cui lo smantellamento del sistema sanitario nazionale che invece dovrebbe ricevere la massima attenzione anche in quanto strettamente legato ai diritti delle persone disabili, ma anche gli altissimi tassi di disoccupazione delle persone disabili”. Non solo. “Ci sono poi il mancato rispetto del diritto allo studio, del diritto ad abitare case accessibili e a prezzi sostenibili e del diritto a vivere fuori dalle strutture segregati, cioè il diritto a vivere nel proprio contesto grazie a fondi specifici (come per l’assistenza personale). Speriamo”, è l’auspicio delle attiviste di Senigallia, “che tutta questa sofferenza si tramuti sempre di più in rabbia organizzata”.

Simbolo del Diversity Pride Month è anche la sua bandiera creata ad hoc per rappresentare persone e istanze, frutto del lavoro dell’artista con disabilità Ann Magill. Ogni colore simboleggia una parte differente: il nero le persone con disabilità che hanno perso la vita a causa della negligenza di chi avrebbe dovuto curarle, per suicidio o eugenetica, il rosso le disabilità fisiche, il giallo le disabilità intellettive, il bianco le disabilità invisibili e il verde le disabilità sensoriali.

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