Dopo Ranucci, lo sciopero al Sole 24 ore: due bombe sul giornalismo e sul Paese

  • Postato il 22 ottobre 2025
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Ha ragione. Ranucci ha ragione quando dice, la solidarietà che sento adesso venga fuori in maniera pratica e allarghi il suo abbraccio. Arrivi fino ai giornalisti più deboli, dice, a quelli delle redazioni locali, ai sovraesposti, a coloro che non hanno tutela legale. Ha ragione da vendere Ranucci quando dice, facciamo un passo avanti ma facciamolo adesso. E dice tutto questo a pochi giorni dall’attentato che poteva essere fatale a lui e alla sua famiglia, ampliando la riflessione dalla sua esperienza individuale a quella più ampia e universale del giornalismo che assume, esso stesso, i contorni di uno strumento di resistenza.

Diceva tutto questo, Ranucci, su Raitre, intervistato da Massimo Giletti in apertura della trasmissione Lo stato delle cose, pochi minuti dopo che un’altra stimata giornalista, Lina Palmerini, a Otto e mezzo, su La7, spiegava senza girarci intorno, le ragioni dello sciopero di due giorni che la redazione del Sole 24 Ore ha messo in campo per denunciare e reagire all’aggressiva decisione della direzione di affidare, in tema di manovra, l’intervista alla premier Meloni a una collaboratrice esterna. “La manovra – così Palmerini – è l’evento più importante dell’anno per il nostro giornale che tratta economia” e a seguirla, dai primi sussulti e dalle prime ipotesi sono giornalisti esperti e titolati in tema di economia e finanza. Decidere dunque di sollevare dal prestigioso impegno di un’intervista sulla legge di bilancio giornalisti specializzati nel settore per affidarlo a mani ritenute più sicure, non più esperte, significa svilire le professionalità e mettere in atto un processo di scelta non basato sul merito ma sul gusto, non sul percorso ma sull’innesto.

E’ anche questo un modo di depotenziare il lavoro dei giornalisti. E se in una redazione come Report questo depotenziamento avviene giorno dopo giorno a botte di querele temerarie, nelle redazioni avviene attraverso un metodo scientifico dapprima invisibile perché impercettibile e poi sempre più violento, che prevede degli step successivi: l’inserimento di figure esterne scelte ad hoc, quindi il loro avvicendamento con chi già c’è e infine la sua sostituzione del personale storico.

Quando in giornale o in un telegiornale si cambia il sangue del corpo redazionale attraverso dei principi che applicati una volta sola non fanno letteratura (quindi non destano scalpore) ma ripetuti più volte, al pari di un esperimento, diventano uso, abuso e poi regola, si ottiene un coro gradito ma parallelamente si scava la fossa a professionalità cresciute in anni e anni mentre si avvia la delegittimazione del prodotto che si licenzia. Perché le notizie non date o date in maniera superficiale da qualche altra parte trapeleranno e a quel punto la reputazione della testata minata – così come la sua credibilità – è compromessa per sempre.

Dunque in queste giornate complicate abbiamo assistito al piazzamento di due bombe. Quella rumorosa, esplosa nel privato del giornalista di Report e l’altra, silenziosa ma non meno carica: l’articolessa mandata in stampa in un’edizione del Sole 24 Ore definito dallo stesso Cdr “il peggiore numero del quotidiano mai realizzato” con un comunicato che gli addetti ai lavori ricorderanno a lungo per la sua cruda durezza e come esempio di schiena dritta, soprattutto in un momento storico – per l’editoria – in cui due giorni di sciopero pesano eccome. Una bomba che non fa rumore ma che non deve fare meno scalpore rispetto a quella che per fortuna non ha leso Ranucci.

E se l’ordigno piazzato fuori casa dal giornalista di Report è giustamente considerato come un avvertimento per certo modo di fare inchiesta, di raccontare i fatti, inanellarli e metterli in fila per far capire come i cosiddetti organi politici si muovono, quindi – in un parola – per gestire l’informazione, allo stesso modo la scelta della direzione del primo quotidiano italiano di economia non percorre un sentiero diverso, bloccato da un’agitazione che ha dato i suoi frutti, con la risposta di azienda e direzione che hanno accettato la valorizzazione delle competenze con assunzioni e copertura di ruoli rimasti scoperti.

A dimostrazione che lo sciopero giusto porta frutti e li porta maturi. E che il corpo redazionale, se si muove insieme procede con un andamento fiero ed eretto.

D’altra parte è una deriva quella degli innesti non casuali nelle redazioni, degli inserimenti liberi, delle prime utilizzazioni piovute dall’alto, delle figure che diventano apicali nel giro di un batter di ciglia, delle interviste scelte da cui bisogna vaccinarsi; una deriva rispetto alle quali quello stesso popolo che è sceso in piazza per diritti umani lesi e calpestati dovrebbe farsi sentire facendo esplodere la bomba, questa sì, della propria consapevolezza. Perché di questo si tratta.

Siamo riusciti a capire che l’ordigno puntato su Report era un ordigno puntato su tutta l’Italia, tanto da aver generato cori sonori, la scorta siamo noi. Ebbene, anche quanto accaduto al Sole 24 Ore è stato un ordigno puntato contro il Paese. Perché un’intervista firmata da un giornalista terzo ed esterno al quotidiano non è solo un attentato al giornale e alla sua storia, alla dignità dei colleghi e di un corpo redazionale, ma è sopra ogni cosa una trappola per i cittadini, che non hanno avuto e non potranno rileggere una delle rare interviste concesse dalla premier alla stampa e per di più su temi per loro vitali: la loro economia, le loro finanze, le loro pensioni, il loro futuro e le eventuali promesse non mantenute. Ecco che cosa comporta far esplodere bombe contro l’informazione, un allentamento degli strumenti di difesa.

Nota di trasparenza: sono nella segreteria di ASR (Associazione Stampa Romana)

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