Eleganza, incanto, ironia surreale: in Italia per la prima volta una mostra sul fotografo americano Rodney Smith

  • Postato il 4 ottobre 2025
  • Cultura
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Che tu sia fotografo o teologo, è sempre una questione di luce. E di devozione. Rodney Lee Smith [New York, 1947-Somesville, 2016] fu entrambe le cose: per tutta la vita inseguì bellezza e verità, che si celassero nei misteri delle Sacre Scritture o nelle riviste patinate di moda. I suoi scatti sono una parabola senza morale in cui il sacro si veste di seta e il profano si inginocchia: gli uomini in cappello sono profeti smarriti, le donne sono angeli distratti che hanno dimenticato le ali. Abitano un paesaggio spoglio e geometrico, al tempo stesso deserto della tentazione e giardino dell’Eden.

Rodney Smith. Fotografia tra reale e surreale è la monografica che ha aperto i battenti a Palazzo Roverella. Per la prima volta in Italia, la curatrice Anne Morin offrirà al pubblico l’opportunità di lasciarsi trasportare nell’universo dell’iconico fotografo newyorkese, in cui nulla è lasciato al caso, eppure tutto sembra accadere per gioco. Oltre cento immagini ne ripercorreranno la carriera per celebrarne la raffinata combinazione di eleganza classica, incanto compositivo e ironia surreale.

La moda, il tessuto, la superficie; la teologia, la luce, l’invisibile: si formò tra due mondi agli antipodi, ma si fermò in quello spazio sospeso dove poté mescolarli. Figlio di un magnate della moda americana, ingannò un destino già scritto quando si laureò in Teologia a Yale nel 1973. Che si trattasse di ribellione o ricerca, nei portfoli degli inizi non ci sono modelle in posa ma il ritratto spirituale del popolo di Gerusalemme, documentato nel diario di cento giorni nella Terra della Luce (In the Land of the Light: Israel, a Portrait of Its People). Allievo del realismo sociale di Walker Evans, i suoi scatti – apparsi su testate mondiali – gli sono valsi importanti riconoscimenti per collaborazioni memorabili (Ralph Lauren, Neiman Marcus, Bergdorf Goodman, sono solo alcune).

Smith si avventura in un mondo immaginifico dalle lancette rotte, un teatro dell’assurdo dove tutto è possibile. I riferimenti alla pittura di Magritte si fondono con un senso dell’immagine prospetticamente classico, che richiama la pittura rinascimentale di Paolo Uccello, Piero della Francesca e del Mantegna. Le suggestioni dal cinema – da Alfred Hitchcock, Terrence Malick. Fino a Wes Anderson – arricchiscono una poetica visiva fatta di armonia formale e narrazione simbolica, che strizza l’occhio alle leggende del cinema muto quali Buster Keaton, Charlie Chaplin e Harold Lloyd.

Smith declina all’infinito la sua personale equazione sacra della luce: le immagini, mai ritoccate digitalmente e illuminate solo dalla luce naturale, sono lampi di contraddizioni in cui l’uso magistrale del bianco e nero diventa modo di sentire, architettonico ed essenziale. Di fronte ai suoi scatti ci perdiamo in luoghi immaginari tra riflessi e riflessioni: siamo intrigati da un significato in apparenza limpido che invece continua a sfuggire, come il Bianconiglio. È lui a condurci nella realtà altra di Rodney Smith, quella vera, fatta di visioni e paradossi, alla ricerca di un senso non vuole farsi trovare e si nasconde tra le linee nette delle architetture. Giocando con la gravità e la matematica, la sua estetica reinventa la realtà rincorrendo l’idea ancestrale di proporzione divina e armonia.

Smith racconta piccole fiabe surreali in cui tutto è misteriosamente sospeso, come se un attimo prima dello scatto fosse successo qualcosa di straordinario – o stesse per accadere da un momento all’altro. Danielle fluttua sull’abisso di seta, il suo abito è la vela che non trova vento. Forse parte, forse torna: intanto, per quell’istante, galleggia tra due mondi [Danielle in boat, 1996]. Non c’è qui, non c’è ora, non è sogno non è realtà; nel sur-reale di Rodney Smith fiorisce il cappello della donna nel labirinto, ponte tra il noto e l’ignoto [Woman with hat between edges, 2004]. Sullo sfondo delle Torri Gemelle – eternamente effimere come le nostre esistenze – uomini e donne partecipano a una processione senza altare. Sono solitudini, piccole cupole nere che segnano la distanza tra loro e il cielo [Skyline, 1995 – immagine guida della mostra]. Ci sono ordine e dissonanza, geometria dei gesti e fragilità dell’attimo; tutto è elegante ma anche stranamente inutile, come un rituale antico di cui non ricordiamo il senso. E nel diluvio, nell’imprevisto, cerchiamo di rimanere composti, con le scarpe lucide, mentre l’acqua è battesimo, confine che cancella i contorni del mondo e cade come una benedizione che non sappiamo ricevere. Così il caos del quotidiano fluisce nell’ideale e il risultato delle sue fotografie è un ordine che partecipa dell’umano fallire. A chi osserva, Rodney Smith chiede di liberarsi della logica e delle (poche) certezze, di immaginare un mondo poeticamente parallelo, che non può essere più assurdo di quello che abitiamo ogni giorno.

Info

Rodney Smith | Fotografia tra reale e surreale
Dove
| Rovigo, Palazzo Roverella
Quando | Fino al 1 febbraio 2026
Info | Tel. 0425460093 – email info@palazzoroverella.com
Social | Ig @palazzoroverellarovigoFb @PalazzoRoverella

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Il Fatto Quotidiano

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