Erotismo, memoria e disobbedienza. “Ma è la poesia la vera trasgressione”. Intervista a Tinto Brass
- Postato il 26 luglio 2025
- Cinema & Tv
- Di Artribune
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Isola Farnese è un bel posto dove stare e in qualche modo gli somiglia, nella dolcezza accesa dei suoi 92 anni: Tinto Brass vive in questo borgo nascosto sull’Appia Antica, tra le colline della campagna romana, dagli Anni ’70, quando ha comprato un casolare da ristrutturare per poi ripensarlo completamente: “La vita di Piazza del Popolo, dove abitavo prima, era troppo caotica. Qui ho trovato una serenità disarmante”. Fuori, il verde rinfrancante del suo giardino, dentro, un’atmosfera quieta. Aspetta seduto in poltrona con un sigaro tra le dita, filtrato dalla luce della parete a vetri di un salotto pieno di locandine dei suoi film, vecchi libri, fotografie di scena. A fare gli onori di casa Caterina Varzi, moglie e musa del Maestro, avvocato e psicologo di una gentilezza rara.
La mostra di Tinto Brass a Brescia
Occasione del nostro incontro, la mostra fotografica ospitata negli spazi della Cavallerizza a Brescia, TANTO DI TINTO. L’erotismo secondo Tinto Brass, visitabile fino al 7 settembre 2025. Oltre cento scatti che raccontano quarant’anni di cinema tra eros e provocazione. L’iniziativa – pensata da Renato Corsini, direttore artistico del Centro della Fotografia Italiana, e da Varzi, curatrice dell’Archivio Tinto Brass e della valorizzazione della sua opera – è parte dell’ottava edizione del Brescia Photo Festival, dedicata al tema Archivi. La mostra si sviluppa attraverso le immagini di Gianfranco Salis, fotografo che da oltre quarant’anni condivide con il regista veneziano un intenso sodalizio artistico, e ripercorre il periodo erotico della produzione brassiana, da La chiave (1983) a Hotel Courbet (2009).

L’intervista a Tinto Brass
In questo che pare proprio il suo posto nel mondo, iniziamo con un bilancio?
Sono sempre stato un positivo. Ho cercato il lato buono delle cose, sbagliando tante volte, ma con passione. Non rinnego nulla, mi sono preso grandi soddisfazioni. Caterina mi ha aiutato a ritrovare certe curve della memoria che, per motivi di salute, avevo perso. Con lei si anima il mio presente. Rileggendo quel passato, ho goduto ancora di più l’intensità emotiva e la ricchezza di tanti momenti. Mentre lavoravo a Una passione libera, libro che abbiamo realizzato insieme durante la pandemia, il mio presente si è riempito di senso.
Facciamo un passo indietro. Suo nonno, Italico Brass, era un pittore affermato. L’immagine figurativa delle sue donne nasce così?
Sono cresciuto guardando le forme morbide di Tintoretto e di Tiziano, tra quelle curve, quelle luci calde, quelle carni generose che vibrano sulla tela. I pittori del Rinascimento veneziano sono stati i miei primi maestri del desiderio. Mio nonno mi ha insegnato che il corpo è un paesaggio, e ogni donna è un’opera d’arte vivente. Non ho mai voluto filmare corpi magri o castigati: volevo carne, calore, umanità.
Alla fine degli Anni Cinquanta si è inserito negli ambienti della Cinémathèque française, dove ha conosciuto i grandi della Nouvelle Vague. Quella “libertà espressiva” ha influito nella scelta di fare un cinema controcorrente?
Ah, la Cinémathèque! Un bordello intellettuale meraviglioso. Lì ho capito che il cinema non doveva obbedire a nessuno. Godard, Truffaut, Rivette… erano anarchici dell’immagine, e io mi sono sentito a casa. Mi hanno dato il coraggio di essere libero, di non servire nessuna morale, nessun mercato. Di seguire solo l’occhio e l’istinto.

Sessualità e politica nei film di Tinto Brass
La sessualità libera da reticenze è ancora oggi un’utopia: perché l’eros spaventa così tanto il potere?
Perché l’eros è rivoluzionario. Il potere ama il controllo, e il desiderio invece è indisciplinato. L’orgasmo è anarchia, è perdita di controllo, è verità nuda. E la verità spaventa. L’eros rende liberi, e un individuo libero è pericoloso per qualsiasi sistema. I bigotti si perdono tanto colore.
Il film “L’Urlo” è il suo manifesto politico più esplicito: come rilegge quella rabbia creativa e la rinuncia ad “Arancia Meccanica” in favore di un’opera tutta sua?
“L’Urlo” è ancora il mio grido contro l’ipocrisia. Volevo raccontare il mio erotismo, il mio erotismo, la mia rivolta, e sperimentare il linguaggio. Quella scelta non la rimpiango: la rabbia creativa era autentica, e l’autenticità è l’unica cosa che conta.
Cosa significa “guardare” attraverso la macchina da presa? Il corpo è al centro, ma mai disgiunto dallo sguardo.
È un atto d’amore. Non è mai solo voyeurismo: è attenzione, è rispetto, è desiderio. Io filmo come accarezzo, con lentezza, con gusto, con stupore. La macchina da presa è il mio occhio innamorato. E ogni corpo che inquadro, lo celebro.

Censura e trasgressione secondo il grande regista Tinto Brass
I limiti imposti dalla censura hanno rafforzato la potenza del suo cinema?
Ma certo! La censura è stata la mia migliore nemica. Ogni volta che mi mettevano un bavaglio, trovavo un modo più elegante, più sottile, più sovversivo per dire le stesse cose. Mi ha costretto a essere più intelligente, più ironico, più immaginifico. Il divieto stimola la fantasia, e la fantasia è l’essenza dell’erotismo.
Cos’è la trasgressione?
La lentezza, l’intimità, il non mostrare tutto. Viviamo in un porno permanente, dove il corpo è consumato e non contemplato. La vera trasgressione è riportare l’erotismo al mistero, al gioco.

La mostra di Tinto Brass a Brescia
Che lo sguardo di Gianfranco Salis, in quarant’anni di set, ha saputo raccontare bene…
Tutte le immagini in mostra colgono quel sodalizio artistico che ha consentito a Gianfranco di entrare in sintonia con l’atmosfera dei miei film, restituendola attraverso un gioco di luci, colori e dettagli scenografici — elementi fondamentali del mio linguaggio. Anche i fuori set, colgono con intensità le pause, quando la finzione si spegneva e restava solo la complicità. E anche quelli, a loro modo, raccontano qualcosa di profondo del mio lavoro con lui.
Una sezione include fotografie di “Tenera è la carne”, film interrotto e mai concluso per la scomparsa del produttore dopo tre settimane di riprese: è una sorta di ferita, o di possibilità rimasta aperta?
È entrambe le cose. Una ferita, e una porta che non ho mai chiuso. Ogni film non fatto resta nel mio immaginario come un sogno che posso ancora sognare. Tenera è la carne è un fantasma dolce, che continua a bisbigliarmi all’orecchio.
Specchi, inquadrature deformate, giochi ottici: la fotografia ha avuto un ruolo importante nel suo linguaggio…
Sì, perché il corpo va moltiplicato, distorto, scoperto da angolazioni sempre nuove. Lo specchio è il doppio, è il riflesso del desiderio. La lente è un occhio che si diverte, che gioca, che esplora. Non ho mai voluto una fotografia piatta: volevo un’immagine che fosse essa stessa eccitazione.
L’erotismo secondo Tinto Brass
Cosa manca, oggi, all’erotismo?
La poesia. Oggi c’è solo esibizione. Il corpo viene usato come un oggetto, non come un soggetto. Non c’è più narrazione del desiderio, solo consumo. L’erotismo non è prestazione. È un linguaggio sottile, e oggi molti ne hanno perso l’alfabeto.
Le locandine e i materiali promozionali dei suoi film hanno spesso provocato e anticipato i dibattiti culturali. Se ne occupava personalmente?
Per me la locandina è già cinema. Ci lavoravo con cura maniacale. Volevo immagini che disturbassero, che facessero riflettere, che provocassero un’emozione. Il mio cinema iniziava da lì, dalla vetrina del desiderio.
Come le è venuto in mente di raccontare l’erotismo attraverso l’ironia e la leggerezza, anziché il tabù?
Perché l’erotismo è gioco! È joie de vivre, non tortura. Non ho mai capito perché il sesso dovesse essere serio, colpevole, doloroso. L’ironia è l’orgasmo dell’intelligenza. Volevo ridere col pubblico, non punirlo. Volevo che il piacere fosse condiviso, non colpevolizzato.
Il pubblico le è stato complice?
Sì, anche quando i critici storcevano il naso, la gente capiva, rideva, si eccitava, si emozionava. Negli anni è cambiato, certo, si è evoluto trasformandosi in una libertà ancora più grande di sguardo e di desiderio. E io ho sempre cercato di restituirla con sincerità e senza compromessi.
Sua moglie Caterina è oggi la curatrice del suo archivio personale, con l’obiettivo di promuovere e valorizzare la sua opera. Che rapporto ha con questa “memoria viva” del suo cinema? E cosa significa per lei affidare a qualcuno – e proprio a lei – la custodia del suo sguardo?
Caterina conosce ogni pellicola, ogni appunto, ogni sbavatura e ogni gioia del mio lavoro. Ma soprattutto ne conosce il senso profondo. Non si limita a conservare passivamente: archivia per far vivere. Avere lei accanto significa sapere che il mio cinema non finirà in una teca, ma continuerà a parlare, a provocare, a sedurre. E poi, diciamolo: chi meglio di lei può custodire il mio sguardo, se è proprio lei l’ultima immagine che voglio vedere ogni giorno?
Ginevra Barbetti
L’articolo "Erotismo, memoria e disobbedienza. “Ma è la poesia la vera trasgressione”. Intervista a Tinto Brass" è apparso per la prima volta su Artribune®.