Essere giovani persone trans in Uk oggi è un atto di resistenza: così stiamo perdendo umanità

  • Postato il 14 giugno 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Nel Regno Unito, oggi, essere una persona giovane e transgender è diventato un atto di resistenza. La società ha deciso che la tua semplice esistenza, se sei una giovane persona transgender, è un problema da gestire, da discutere, da normare.

Da qualche giorno non si può più accedere ai sospensori della pubertà se non attraverso il sistema sanitario nazionale. Questo vuol dire non potervi accedere per nulla, visto che il sistema sanitario britannico ha inserito i percorsi di affermazione di genere delle giovani persone transgender esclusivamente all’interno di studi di ricerca che però non sono stati ancora avviati. In questi ultimi giorni quindi, giovani persone che avevano iniziato il loro tanto atteso trattamento coi sospensori della pubertà non dormono e non mangiano angosciate all’idea che senza quel farmaco adesso il loro corpo inizierà a cambiare. E quelle più piccole alle quali ancora mancava un po’ per iniziare si vedono cancellare il futuro e la vita così, senza un perché.

In seguito a questa notizia, ho ascoltato e letto storie che mi hanno colpito profondamente. Bambini, bambine, persone giovanissime, alcune che non sanno ancora scrivere bene il loro nome, che fanno disegni che esprimono angoscia totale. Un bambino ha disegnato dei corpi che cadono dai palazzi. Precipitano e, mentre cadono, quei corpi si trasformano in numeri. Come a dire: “non siamo più persone, siamo statistiche”.

Cosa diavolo sta facendo il mondo adulto a queste giovanissime persone?

Quando la politica entra nei corpi e soprattutto quelli più giovani senza capire che loro sono il futuro, vuol dire che abbiamo perso ogni senso della vita, del rispetto e dell’umanità.

Ma perché tutta questa attenzione, tutto questo accanimento se stiamo parlando, in fondo, di un gruppo estremamente piccolo della popolazione? Mi chiedo spesso che funzione politica possa avere prendersela con una minoranza così piccola. Forse distrarre da problemi più complessi e più scomodi? O forse consolidare voti attraverso una finta battaglia “morale”?

I dati parlano, ma non bastano. Oltre il 60% delle giovani persone transgender ha subito episodi di bullismo a scuola, e oltre il 45% ha pensato al suicidio. I servizi psicologici e medici sono inaccessibili. Ormai chiunque si occupi di affermazione di genere nelle persone più giovani vive nel timore di sbagliare, più che nella voglia di accompagnare. Perché il governo poi ti fa fuori. E questo accade anche in Italia.
I giornali poi non aiutano a raccontare le cose. Lo vediamo con la vicenda di Garlasco in questi giorni: tutto si può dire, inventare, criticare, senza competenze né conoscenze, solo per attirare like e followers. Idem con la questione dell’infanzia e dell’adolescenza transgender. Si parla a casaccio, si danno statistiche oltretutto spesso sbagliate, ma sempre allarmanti, che non bastano a far comprendere la complessità della situazione.

Quello che dovrebbe bastare è l’immagine di un bambino di sette anni che disegna se stesso cadere da un palazzo e diventare un numero. Lui non legge i giornali. Ma li respira.

Parlare di identità di genere non è parlare di un’ideologia. È parlare di come una persona si sente nel profondo, e di come vorrebbe essere trattata: con rispetto. Tutto qui. Non c’è nulla di rivoluzionario nel chiedere che un ragazzo o una ragazza transgender possano vivere serenamente la propria adolescenza senza sentirsi un bersaglio.

Invece, oggi, nel Regno Unito e non solo, viviamo in una strana ossessione verso le persone transgender: si vuole sapere chi sono, come si definiscono, cosa fanno, se vanno al bagno “giusto”, cosa c’è nei loro documenti. E ti dicono che lo fanno per la loro protezione, per il loro bene, negando l’esistenza di studi trentennali che confermano che ciò che finora veniva fatto era corretto. Tutto questo ha poco a che fare con la tutela delle persone e molto a che fare con il controllo e la paura della complessità. Influenzando tutta l’opinione pubblica.

Alla fine basterebbe ascoltare. Se ascoltassimo queste giovani persone senza il filtro della paura o della polemica, sentiremmo che ci parlano di scuola, di amicizia, di sentirsi visti. Ci parlano di corpi che cambiano e di voci che faticano a uscire. Ci parlano di quanto faccia male essere ridotti al “tema del giorno”, invece che essere persone da accogliere. È questo che stiamo perdendo: l’umanità di guardare l’altra persona per quello che è, non per ciò che rappresenta nel dibattito pubblico.

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Il Fatto Quotidiano

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