Fantastici Quattro – Gli Inizi: come una famiglia può salvare l’umanità intera

  • Postato il 25 luglio 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Nella tradizione del pensiero politico e filosofico occidentale, la famiglia è stata a lungo concepita come il luogo del privato, del vincolo naturale e spesso dell’esclusione dallo spazio pubblico. Da Hegel ad Arendt, passando per Hobbes, i pensatori moderni le hanno riconosciuto una funzione morale o biologica, ma sempre distinta – e talvolta contrapposta – alla dimensione dell’azione politica e del bene comune. Parlandone in termini ben più mondani, potremmo dire che la famiglia, come nucleo, tende a identificarsi con il bene collettivo solo nella misura in cui quest’ultimo tuteli la sua stessa sopravvivenza come entità o istituzione.

Ma cosa accade quando una famiglia viene chiamata a farsi carico del bene comune in circostanze straordinarie, e a rappresentare – nel senso più letterale – l’umanità intera?

È proprio questa la scintilla che accende Fantastici Quattro – Gli Inizi (2025), film diretto da Matt Shakman e destinato a inaugurare una nuova fase del Marvel Cinematic Universe. Tutto parte da un breve racconto delle origini: lo scienziato Reed Richards (Pedro Pascal), la compagna Susan Storm (Vanessa Kirby), il fratello di lei Johnny (Joseph Quinn) e l’amico Ben Grimm (Ebon Moss-Bachrach), vengono trasformati in super-esseri durante un viaggio nello spazio. Tornati sulla Terra, le loro imprese li rendono i beniamini dell’opinione pubblica, finché una nuova terrificante minaccia non si profila all’orizzonte, mettendo in crisi l’idillio: Galactus, il Divoratore di Mondi.

Quando nel 1961 Stan Lee e Jack Kirby portarono per la prima volta i Fantastici Quattro nelle edicole, tennero a battesimo un universo narrativo basato su regole completamente nuove, poggiando le fondamenta di quella che diventerà la “Casa delle Idee” su quattro personaggi imperfetti, insicuri, dotati di poteri straordinari ma anche attraversati da ansie, dilemmi morali, conflitti identitari. A renderli rivoluzionari non erano solo gli scontri con ostili civiltà aliene, ma il fatto che litigassero e si amassero come veri congiunti, e soprattutto si interrogassero sul proprio ruolo in un mondo in trasformazione. Era l’epoca in cui la scienza prometteva di spalancare le porte del futuro – tra conquista dello spazio e tecnologia domestica – mentre le istituzioni tradizionali, la famiglia in primis, venivano sbandierate come pilastri della stabilità postbellica. Proprio dalla combinazione di questi due poli – la curiosità per la nuova frontiera e la conservazione del nucleo familiare – nacquero i Fantastici Quattro.

Il film di Shakman omaggia queste radici, ambientando il tutto in una Terra parallela in cui i protagonisti sono gli unici supereroi del pianeta, e riportando il pubblico a un’epoca retrofuturistica, visivamente brillante. In questo modo, il regista aumenta la richiesta di sospensione dell’incredulità, ma con uno scopo preciso: rimettere al centro il fattore umano come cuore pulsante del racconto. Le dinamiche intime diventano infatti un campo di battaglia a cui lo scontro con Galactus fa da specchio: dall’universale al particolare, la catastrofe cosmica minaccia non solo la Terra, ma anche l’equilibrio della loro stessa unità. Allora come oggi, il nucleo familiare si trova a oscillare tra isolamento e responsabilità collettiva, e proprio in questa tensione tra privato e pubblico, tra intimità e collasso imminente, si gioca il senso profondo di Fantastici Quattro – Gli Inizi.

Se un tempo i pionieri della scienza erano visti come portatori della fiaccola del progresso, oggi, in un mondo lacerato da crisi globali e disillusione, può una famiglia – anche straordinaria – farsi portavoce dell’interesse pubblico? Può preservare il proprio legame senza sacrificare il futuro degli altri?

Shakman prende le distanze dalla formula stilistica più recente del Marvel Cinematic Universe, riducendo all’essenziale gag e battute – spesso abusate in altri capitoli del franchise – e restituisce nuova linfa al franchise, tanto sul piano narrativo quanto su quello del puro piacere cinematografico. Il risultato è un’opera fruibile anche da chi non ha seguito ogni angolo della continuity, che si regge su una trama semplice, ben bilanciata tra azione e dialoghi, e sorretta da un cast straordinariamente convincente. Spiccano in particolare le interpretazioni di Vanessa Kirby e Joseph Quinn, ma sorprende anche Ebon Moss-Bachrach, che con la sola voce riesce a rendere profondamente umano – e commovente – un personaggio fatto letteralmente di roccia digitale.

Contro di loro c’è Galactus (Ralph Ineson), manifestazione impersonale e inevitabile di una catastrofe cosmica, forza primordiale di distruzione che non odia né sceglie, ma semplicemente esiste per divorare. In questa incarnazione, il villain diventa simbolo di tutte quelle crisi (ecologiche, sistemiche) che travalicano la volontà individuale e mettono alla prova l’intera civiltà. Al suo fianco, un’inedita Silver Surfer in versione femminile (Julia Garner), araldo e simbolo di quelle personalità elevate che scelgono di accantonare la propria umanità per “servire” l’apocalisse. Ma anche una figura tanto risoluta dovrà fare i conti con l’ostinata umanità del quartetto, disposto a tutto pur di salvare la propria Terra – anche a risvegliare in lei l’empatia perduta.

Ed è proprio qui che il film scopre la sua forza tematica: nella risposta di una famiglia – disfunzionale ma unita – che sceglie di usare i propri doni, la propria affinità e le proprie fragilità condivise per difendere ciò che va oltre sé stessa. Una storia di supereroi, certo, ma anche una riflessione – giocosa e colorata – sul potere trasformativo dei legami umani di fronte all’inimmaginabile. In sostanza, proprio ciò che rese grande la Marvel sessant’anni fa.

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Il Fatto Quotidiano

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