Finalmente il consenso al centro: cambia la legge sullo stupro in Italia. Un grande passo avanti

  • Postato il 25 novembre 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Articolo 609-bis (violenza sessuale):
Chiunque compie o fa compiere o subire atti sessuali ad un’altra persona senza il consenso libero e attuale di quest’ultima è punito con la reclusione da sei a dodici anni.

Alla stessa pena soggiace chi costringe taluno a compiere o a subire atti sessuali con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità ovvero induce taluno a compiere o subire atti sessuali abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica o di particolare vulnerabilità della persona offesa al momento del fatto o traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona.

E’ bastato un articolo per dare il via libera alla proposta di legge, approvata dalla Camera all’unanimità, per riscrivere l’articolo 609-bis del codice penale sul reato di stupro che segue quanto la Convenzione di Istanbul, legge dello Stato, prevedeva già dal 2013, anno in cui è stata ratificata dall’Italia, ma mai applicata mancando il collegamento, essenziale, con il codice penale (al completamento dell’iter legislativo manca ancora l’approvazione del Senato che presumibilmente avverrà proprio nella seduta del 25 novembre).

Per provare la violenza, sino ad oggi, nei processi di stupro, occorreva dimostrare l’elemento della minaccia e della costrizione. Elementi molto spesso difficili da provare, che portavano a processi estremamente dolorosi per la donna che spesso assumeva il ruolo di accusata anziché di vittima, concretizzando il fenomeno della cosiddetta “vittimizzazione secondaria”, dovendo lei dimostrare che si era opposta, che aveva lottato, reagito.

Oggi invece con questa legge si afferma che il reato di stupro si configura ogni volta non ci sia un consenso pieno, consapevole e attuale, sia prima che durante il rapporto sessuale.

Da un punto di vista giuridico è un cambiamento determinante: la persona che denuncia uno stupro sa che è sua la responsabilità di quello che afferma, ma non deve provare di non aver prestato il consenso, deve essere l’uomo a dimostrare che il consenso c’è stato. Non si capisce perché, sino ad oggi, dovesse essere la persona offesa a doverlo dimostrare… se uno denuncia un furto, non deve provare che non è stato consenziente al reato.

Come conferma giustamente il dottor Fabio Roia, Presidente del Tribunale di Milano, “…io pubblico ministero davanti ad una donna che si presenta a denunciare o che testimonia di avere subìto un atto sessuale senza il suo consenso, mi trovo davanti ad una notizia di reato e devo crederle. E questo è un primo fondamentale passo rispetto a tante situazioni in cui le donne raccontano la fatica di essere credute”. E a chi beffardamente chiede se serviranno moduli da compilare prima di un rapporto sessuale, rispondiamo con le parole di Laura Boldrini: “L’unica cosa che serve è un sì, libero, esplicito e attuale”.

Il secondo comma dell’articolo poi è un altro punto essenziale: equipara allo stupro, comminando la stessa pena, quei casi in cui si abusa di una persona non solo in condizioni di inferiorità fisica o psichica, ma anche nei casi di “particolare vulnerabilità” della stessa. Tenendo quindi conto delle circostanze, purtroppo molto numerose, in cui le condizioni individuali, familiari o del contesto in cui è avvenuto il reato, possono configurare un consenso non libero ma coattivo.

Ma la portata di questa legge va ben oltre. E’ un cambiamento di paradigma, che ha un valore simbolico potente e si conferma finalmente un principio di grande civiltà: un no ad un rapporto sessuale è un no anche se non esplicitamente affermato. Chi denuncia uno stupro, accollandosi tutto il dolore, l’imbarazzo, il disagio di raccontare un rapporto sessuale subito con violenza contro la propria volontà o in un contesto di particolare fragilità e vulnerabilità, non lo fa certo con leggerezza e a questo dolore non deve essere aggiunto quello ulteriore di non essere creduta.

Anche l’Italia quindi adegua la sua legislazione a quella di Belgio, Croazia, Cipro, Repubblica Ceca, Danimarca, Finlandia, Germania, Grecia, Irlanda, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Slovenia, Spagna e Svezia che già hanno introdotto una definizione di stupro basata sul consenso. Così come l’Islanda, la Norvegia, la Svizzera e il Regno Unito si sono fornite di definizioni analoghe di stupro in linea con il diritto internazionale e con le disposizioni della Convenzione di Istanbul.

Prima di noi anche la Francia, in ottobre, ha approvato un disegno di legge che introduce nel codice penale una definizione di stupro che lo ridefinisce come “qualsiasi atto sessuale non consensuale”. Sicuramente il processo seguito alla vicenda di Gisèle Pelicot – drogata, abusata e violentata ripetutamente dal marito e da più di 50 uomini – ha portato alla luce un vuoto normativo nella legislazione francese: la sua mancanza di reazione, dovuta al fatto di essere stata narcotizzata, non rientrava in una delle quattro categorie previste dalla legge francese (violenza, coercizione, minaccia o sorpresa) benché fosse indubitabile che fosse stata stuprata.

Celebriamo finalmente un 25 novembre all’insegna di un grande passo avanti in tema di violenza sessuale, senza però dimenticare che il cammino verso una società libera da questo odioso fenomeno è ancora lungo e tortuoso e passa attraverso un cambiamento culturale profondo, un’educazione sessuale e all’affettività seria, una consapevolezza di tutte e tutti che il patriarcato ancora esiste ed è alla base della violenza contro le donne; e se, come ci ricorda la Convenzione di Istanbul, riusciremo ad eliminare tutte le forme di discriminazioni che ancora le donne subiscono e che sono alla base dello squilibrio dei rapporti fra i sessi.

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Il Fatto Quotidiano

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