Perché pago le tasse. Una storia (e un’idea per l’opposizione)

  • Postato il 26 novembre 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Pagare le tasse può essere seccante. Da lavoratore dipendente, leggere il totale delle trattenute e confrontare il lordo con il netto è un colpo al cuore. A volte scatta un senso di ingiustizia: così è troppo. Gli autonomi hanno l’opzione di fatturare e dichiarare meno del dovuto e tantissimi lo fanno. Chi versa fino all’ultimo centesimo tende a sentirsi in minoranza. Cornuto e mazziato. Mentre alle sue spalle gli evasori innaffiano con lo champagne un banchetto a base di ostriche e tagliolini al tartufo, come in uno sfortunato spot del ministero dell’Economia che avrebbe dovuto convincere le partite Iva ad aderire al (fallimentare) concordato preventivo biennale con il fisco.

Capita però che a un certo punto della vita qualcosa ci ricordi perché paghiamo. E perché rivolgersi ai contribuenti onesti promettendo rigore estremo contro quel furto che è l’evasione – e impegnandosi a correggere le insopportabili iniquità dell’attuale sistema fiscale, a partire dalle flat tax – potrebbe essere una buona idea per i partiti dell’attuale opposizione.

Il punto per me è questo perché mia madre sta morendo. Dopo il terzo, lungo ricovero di quest’anno abbiamo deciso di riportarla a casa come aveva chiesto. Gestire in casa un paziente oncologico terminale, al netto del peso psicologico sui famigliari che se ne prendono cura, richiede molta organizzazione e l’aiuto di diversi professionisti. Ma permette anche di scoprire che, nonostante il definanziamento in termini reali subìto negli ultimi 15 anni, la sanità pubblica italiana è miracolosamente ancora in grado di riservare sorprese positive. Medici, infermieri e Oss che in reparti fatiscenti dedicano ai ricoverati un’attenzione affettuosa. Una rete di servizi territoriali che offre gratuitamente non solo attrezzature e presìdi ma anche la visita quotidiana di un infermiere e la presa in carico da parte di un medico palliativista che valuta lo stato del paziente, fornisce gli analgesici per la terapia del dolore, offre alla famiglia colloqui con uno psicologo, propone l’opzione del ricovero in hospice.

Sono diritti fondamentali, previsti dalla legge 38 del 2010. Vederseli riconoscere per davvero è però un sollievo inatteso. Del resto garantirli è sempre più difficile. Il Friuli-Venezia Giulia, dove mia madre vive, è la seconda Regione più anziana d’Italia e il fabbisogno di cure palliative è dieci volte superiore alla media nazionale per 100mila abitanti. I medici sono troppo pochi e fanno i salti mortali. Oltre ai casi terminali, devono gestire centinaia di pazienti con malattie neurodegenerative a lungo decorso. Servono più risorse e più professionisti.

E qui torniamo alle tasse, obbligo seccante fino a che non si ha bisogno dei servizi che contribuiscono a finanziare. Quali? Scoprirlo non è difficile: la pagina personale di ogni contribuente, sul sito dell’Agenzia delle Entrate, racconta che cosa è stato pagato con le sue imposte. L’anno scorso 3.700 euro della mia Irpef sono andati alla voce previdenza e assistenza, quasi 3mila alla sanità. Averli pagati, al momento, mi fa sentire in pace. Mi piace illudermi che un evasore incallito, in una situazione analoga, provi un certo disagio. Che c’entra l’opposizione? Oggi ancora di più voterei volentieri chi mi promettesse di fare tutto il necessario – gli esperti possono suggerire le ricette più efficaci – perché tutti paghino. Il che consentirebbe di recuperare strutturalmente un centinaio di miliardi l’anno e per quella via, oltre a ridurre le aliquote per tutti, portare la spesa sanitaria a un livello decoroso in proporzione al pil. Se nel programma fosse anche previsto che nemmeno un euro sarà tolto a sanità, istruzione e assistenza per gonfiare la spesa per la difesa, tanto meglio.

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Il Fatto Quotidiano

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