Ford e la scommessa dell’auto elettrica: per forza, non per amore

  • Postato il 20 agosto 2025
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di Carblogger

L’11 agosto, Ford ha raccontato come intende diventare competitiva nella corsa mondiale all’auto elettrica e sfidare l’attuale supremazia cinese. La storia colpisce non tanto per i suoi capitoli (quelli industriali i più intriganti), ma perché il nuovo romanzo segue la cancellazione da parte del costruttore di un paio di nuovi modelli a batteria e la riduzione degli investimenti dedicati.

Contraddizioni? No, messaggio chiaro: sull’elettrico nessuno torna indietro. Né (il sottotitolo) i costruttori cinesi potranno restare per sempre fuori dal mercato nordamericano.

Il caso Ford conferma che aveva ragione Umberto Eco: per sopravvivere bisogna raccontare storie. Il ceo di Ford, Jim Farley, è la voce narrante: affabulatore incontinente sui social, dopo il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca utilizza sempre più toni patriottici – tipo, delle tre di Detroit siamo i più americani con l’80% di produzione in loco – molto in linea con la storica vicinanza del marchio ai Repubblicani. Sebbene il presidente Bill Ford, che a 68 anni sta preparando la successione dinastica, abbia cominciato con un’altra formazione, mentre nel 2018 cancellò un viaggio d’affari a Riad sponsorizzato da Trump, in segna di protesta per l’assassinio del giornalista Jamal Khashoggi.

La nuova storia Ford raccontata da Farley è una storia di sopravvivenza, avendo perso 5,1 miliardi di dollari nell’elettrico nel 2024 e probabilmente 5,5 quest’anno, se tutto non va peggio fra dazi e fine dei crediti d’imposta all’acquisto di auto elettriche dal 30 settembre. L’11 agosto nella sua fabbrica di Louisville, Ford non ha mostrato la prossima generazione di veicoli a zero emissioni, né il primo pick-up di medie dimensioni per gli Usa, in vendita dal 2027, ma un nuovo sistema produttivo connesso a una nuova piattaforma.

L’architettura è semplificata, ha molti meno componenti e ha una grande flessibilità. L’insieme è stato messo a punto a Long Beach in California da un reparto semi-segreto che Farley ha chiamato di “skunkworks“, puzzole, espressione usata da Sergio Marchionne ai tempi del lavoro nascosto sull’Alfa e nata negli anni ’40 alla Lockheed, per indicare squadre agili e all’opera lontano dagli occhi della stessa azienda.

L’obiettivo di Ford con gli “skunkworks” è duplice: abbattere tempi e costi di produzione e dunque abbassare i prezzi alla vendita, partendo – è stato detto – da 30mila dollari. Unico modo, leitmotiv ripetuto da mesi anche da John Lawler, vicepresidente di Ford, per competere oggi con i cinesi. Investimenti complessivi pari a 3 miliardi, più 2 per una fabbrica di batterie nel Michigan. Tutto made in Usa, “smemoratezza” di Farley inclusa, che ha evitato di ricordare come le batterie vengano prodotte su licenza della cinese Catl.

La narrazione di Ford – l’auto elettrica per forza e non per amore – è quasi senza rete: “Non ci sono garanzie per questo progetto, stiamo realizzando così tante cose nuove che non posso dirvi con certezza assoluta che tutto andrà per il verso giusto. È una scommessa. C’è un rischio”. Parola di Farley. Atteggiamento serio.

Domande da fare a lui e ad altri: per l’elettrico, ci potevano pensare e investire prima in questo modo radicale, Ford come i rivali? O è un segno che forse non credessero abbastanza in quel che è un cambio di paradigma o, per dirla alla cinese, una rivoluzione e non un pranzo di gala? O addirittura non lo volessero, finché a Pechino lo hanno imposto a tutti con un ordine del Partito?

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