Hamas: l’arma a doppio taglio creata da Israele

  • Postato il 8 luglio 2025
  • Editoriale
  • Di Paese Italia Press
  • 1 Visualizzazioni


di Massimo Reina


Negli anni Settanta, mentre l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) cercava legittimità internazionale e costruiva, con lentezza e diplomazia, una voce politica unica per i palestinesi, una piccola rete di scuole religiose e cliniche cominciava a radicarsi nei vicoli polverosi della Striscia di Gaza.
A guidarla era lo sceicco Ahmed Yassin, cieco, carismatico, punto di riferimento della Fratellanza Musulmana palestinese. La sua organizzazione, al-Mujamma al-Islami, era formalmente religiosa ma portava con sé una visione chiara: quella di una Palestina islamica, fondata sulla legge coranica. Israele, che allora dominava i territori con la sua autorità militare, non soltanto non ostacolò questa crescita, ma ne autorizzò la legittimazione legale.
L’arma segreta del Mossad
Nel 1979 fu l’allora ministro della Difesa Ezer Weizman a firmare l’autorizzazione che riconosceva ufficialmente al-Mujamma come associazione legittima. La motivazione era tanto semplice quanto pericolosa: meglio incentivare il fondamentalismo religioso — frammentato, caritatevole, politicamente meno strutturato — che lasciare spazio all’OLP di Arafat, laica, unita e in grado di dialogare con le Nazioni Unite, l’Europa, e persino con alcuni segmenti della società israeliana.
Fu una scelta strategica. Una scelta lucida. Una scelta che oggi, a distanza di quasi mezzo secolo, mostra i suoi effetti devastanti. Negli anni Ottanta, mentre l’OLP veniva colpita da ondate di arresti, chiusure di giornali, esilio e delegittimazione internazionale, le strutture di Hamas ricevevano permessi edilizi per costruire moschee, scuole coraniche, ospedali. Secondo inchieste giornalistiche e testimonianze dirette, Israele chiuse deliberatamente un occhio — e talvolta due — sui fondi che affluivano alle Ong islamiche, mentre colpiva ogni forma di organizzazione laica e nazionalista palestinese.

La prima Intifada
Nel 1984, Yassin venne arrestato dallo Shin Bet con armi e documenti segreti. Fu liberato appena un anno dopo. Nessuna condanna, nessun processo pubblico. La sua rete riprese a crescere. Poi venne il dicembre 1987. La Prima Intifada. La rivolta della gioventù palestinese, dei sassi contro i fucili, della disperazione contro l’occupazione.
In quel contesto, Hamas venne formalmente costituito col beneplacito e soddisfatto consenso del futuro Mossad. Il nome completo — Harakat al-Muqāwama al-Islāmiyya, Movimento di Resistenza Islamica — segnava un punto di non ritorno. La lotta per l’indipendenza palestinese cessava di essere unitaria. Laica. Politica. E diventava una guerra di religione.
Fu il risultato di una strategia precisa: dividere il fronte interno palestinese, distruggere la voce unica dell’OLP, e creare un’opposizione religiosa utile a minarne l’autorità. Hamas nacque con questa funzione. Per combattere Arafat, non Israele.
Dividi et impera
Nel 2002, l’ex diplomatico del Dipartimento di Stato americano Dennis Ross dichiarò che “Israele incoraggiò la nascita di Hamas per dividere i palestinesi.” Anche Robert Fisk, storico corrispondente del The Independent, scrisse che “è ironico che Hamas, oggi dichiarato nemico mortale, sia nato con la benevolenza israeliana.” Le sue parole non furono mai smentite.
Il giornalista investigativo Richard Sale, dell’agenzia UPI, andò oltre: “Il Mossad israeliano fornì denaro a Hamas nei suoi primi anni per ostacolare Arafat e il Fatah.” Fonti dell’FBI, citate in seguito, confermarono che Israele aveva concesso fondi tramite organizzazioni caritatevoli, accesso semplificato alla burocrazia militare, copertura logistica e spazio mediatico.
Uno storico israeliano, Avner Cohen, ex agente del servizio segreto interno, dichiarò: “Hamas fu alimentata dall’illusione di essere utile. Gli abbiamo permesso di crescere. E ci è esplosa in faccia.” Un altro ex ufficiale dell’intelligence, intervistato da The Intercept, ammise che vi erano “rapporti di contatto e gestione a distanza” con alcuni ambienti islamisti, considerati all’epoca più malleabili e meno pericolosi del nazionalismo palestinese.
Un rapporto della CIA declassificato nel 2001 parlava di “tolleranza attiva” da parte di Israele nei confronti di Hamas e dei suoi affiliati negli anni Ottanta.
Il resto è storia recente. Hamas si è radicalizzato, ha preso le armi, ha lanciato missili. Ha vinto le elezioni del 2006 nella Striscia di Gaza. È stato isolato, poi messo sotto embargo. Ha preso il potere. È diventato, per Israele e per l’Occidente, il volto stesso del terrorismo palestinese.
Ma dietro quel volto, resta l’ombra della scelta originaria. Un errore strategico, o forse un calcolo perfetto finché i morti erano altrove. Oggi Hamas è diventato il motivo, o forse la “scusa”, di Israele per massacrare sterminare i palestinesi, finire di rubargli le terre e compiere un genocidio. Ma le sue radici affondano nella terra che gli fu concimata dagli stessi che oggi ne invocano l’eliminazione.
E la domanda che resta — inascoltata tra un raid e l’altro — è sempre la stessa: a chi giova, oggi come allora, un nemico come Hamas?

L'articolo Hamas: l’arma a doppio taglio creata da Israele proviene da Paese Italia Press.

Autore
Paese Italia Press

Potrebbero anche piacerti