I diktat li impone Mosca: il piano di pace in Ucraina è un ‘buon compromesso’ solo per Putin
- Postato il 26 novembre 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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All’inizio c’è stato il cosiddetto “piano di pace” stilato nella sostanza a Mosca e firmato dallo “sceriffo” di Washington. Un’accozzaglia di 28 punti, che nell’insieme non poteva che produrre sgomento e un certo disgusto, ma al netto di balletti e giravolte per distrarre e creare confusione confermava l’autentica bussola di Trump fin dall’insediamento segnata dall’aggressione a Zelensky nello Studio ovale e dal rito di sottomissione a Putin ad Anchorage. Eppure, per quanto fosse nell’aria una manovra a tenaglia per spartirsi le spoglie dell’Ucraina, liquidare Zelensky, indebolire e destabilizzare l’Europa, l’operazione è stata gestita con modalità e tempistica talmente calcolate per mettere in una condizione di massima difficoltà il popolo ucraino e i suoi alleati da essere difficile da prevedere.
Dopo il “proficuo” colloquio con cui Putin aveva riagganciato Trump e aveva spazzato via le precedenti aperture sui missili Tomahawak all’Ucraina, il 20 ottobre c’era stata la telefonata “andata male”, con tanto di annullamento del summit di Budapest, tra Lavrov e Rubio non consenziente sulla pretesa del riconoscimento a Mosca anche dei territori non conquistati in Donbass.
Così per aggirare totalmente la road map iniziale che prevedeva, secondo il dipartimento di Stato, un cessate il fuoco sulla linea del fronte come precondizione per il tavolo negoziale, su input russo viene rilanciato, dopo Gaza, Steve Witkoff, l’immobiliarista amico e tuttofare di Trump, ora dominus della diplomazia parallela nonché ideale interlocutore del consigliere di Putin, Kirill Dmitriev, latore nelle mani di Witkoff del piano “di pace” stilato da Lavrov, secondo fonti diplomatiche Usa.
In sostanza per esercitare una pressione ricattatoria su Zelensky, in forte difficoltà per le gravi accuse di corruzione a due vice ministri ed uomini che gli sono stati vicini, e per cogliere gli europei impreparati, viene totalmente scavalcato il livello istituzionale e lo stesso segretario di Stato Marco Rubio. Quella che doveva rimanere una bozza riservata da portare a conoscenza solo di europei e ucraini, viene fatta uscire sui media come “piano di pace”. In questo modo l’attivismo disinvolto di Witkoff che ha consegnato il piano come un dono noto a Mosca e come una minaccia con tanto di scadenza molto ravvicinata a Kiev, ha creato oltre a una pericolosa deviazione dai canali istituzionali un’accelerazione a beneficio del paese palesemente favorito e della sua macchina propagandistica.
Se come sembrerebbe (il condizionale è d’obbligo) qualche, pur limitato ostacolo si sta frapponendo sulla strada che Trump stava spianando al disegno-sogno di Putin è anche “grazie” alla gestione spregiudicatamente a favore dello zar che ha creato divisioni e profondi malumori. Un’insofferenza che si è manifestata all’interno del dipartimento di Stato dove era già stata vista con disapprovazione la progressiva rimozione del generale Keith Kellog, ufficialmente inviato per l’Ucraina, inviso al Cremlino per non essere pregiudizialmente ostile a Kiev, come nel partito Repubblicano in parte sensibile alle ragioni del paese aggredito e pure in una fascia dell’elettorato trumpiano che non vuole partecipare ad altre guerre ma nemmeno sostenere Putin.
I 28 punti del “piano di pace” originale possono essere un “buon compromesso” solo per Putin ed estimatori ma soprattutto non sono, secondo la lingua italiana, un compromesso ovvero “un accordo raggiunto con reciproche concessioni”: contengono solo enormi rinunce unilaterali ed imposizioni per l’aggredito. Infatti, in sintesi, dopo la dichiarazione che “la sovranità dell’Ucraina sarà confermata” la smentiscono o la condizionano pesantemente: dalla riduzione delle forze armate all’imposizione in Costituzione dell’esclusione dalla Nato; dal divieto di qualsiasi forza di interposizione europea alle generiche garanzie di sicurezza (in allegato); dal riconoscimento de facto dei territori annessi con il referendum, sotto i mitra spianati, al ritiro dalle regioni del Doneskt ora controllate dall’Ucraina fino all’imposizione del voto entro 100 giorni; dall’amnistia per tutti i crimini di guerra alla piena reintegrazione della Russia in tutti i consessi internazionali.
E persino più inconcepibile ma funzionale alla logica criminale di Putin, c’è la previsione di un cessate il fuoco, invocato ancora invano in queste ore da Papa Leone, solo dopo il ritiro “delle due parti” cioè dell’Ucraina dai territori che ancora controlla in Donbass.
Poi da Ginevra in quello che Marco Rubio ha definito “l’incontro più significativo finora” l’Europa ha cercato con Usa e Ucraina di ridimensionare lo sbilanciamento pro-Putin del patto Witkoff-Dimitriev, correggendo a sostegno dell’Ucraina due punti fondamentali e cioè i limiti all’esercito ed il cessate il fuoco sulle attuali linee del conflitto con la richiesta di garanzie precise per la sicurezza. Infine, sulla base degli emendamenti dell’Europa è stata stesa una nuova bozza negoziata direttamente tra Usa e Ucraina su base paritaria definita un documento-quadro che recepisce “interessi di sicurezza nazionale per l”Ucraina”: decisioni rilevanti su confini e vincolanti su Nato Russia e Usa rimandate a colloqui fra Trump e Zelensky. Per ora si può riconoscere che ci sia stato il tentativo iniziale di imporre da parte americana una pace totalmente squilibrata resa meno iniqua dall’intervento dell’Europa per “ridurre il danno”.
Quanto a Mosca, se aveva già bollato come “non costruttiva” la proposta europea, secondo il NYPost, è intenzionata a respingere i 19 punti Usa-Ucraina e a prolungare la guerra almeno fino alla fine dell’anno. Per il pacifismo nostrano sarà ovviamente a causa del “sabotaggio europeo”.
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