I fenomeni social replicano in scala ridotta le speculazioni della finanza: bisogna distinguere prezzo e valore
- Postato il 18 agosto 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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di Pio Arpaia
Nel panorama attuale, il marchio Chiara Ferragni, un tempo simbolo di lusso ricercato, mostra segni evidenti di declino dopo lo scandalo del “pandoro-gate” che ha determinato il crollo del fatturato, passato da 14 milioni nel 2022 a 2 milioni nel 2024. Allo stesso modo, è notizia recente che Salt Bae, al secolo Nusret Gökçe – il famoso disseminatore di sale su bistecche – stia vivendo il declino della propria immagine: i profitti del ristorante di Knightsbridge si sono dimezzati in un anno, cinque dei sette locali statunitensi hanno chiuso a causa di denunce per turni di lavoro massacranti, critiche sulla qualità del cibo offerto e un’apparizione poco professionale in campo ai Mondiali.
Intanto qui in Italia, Federico Fashion Style continua a proporre messe in piega da centinaia di euro il cui costo effettivo di tempo e materiali è irrisorio, mentre online proliferano corsi digitali “premium”, composti da pochi video preregistrati da guru dell’ultim’ora nati su YouTube, venduti a prezzi altissimi grazie a un marketing che maschera la vacuità dei contenuti.
Questi fenomeni, all’apparenza innocui, replicano su scala ridotta le stesse dinamiche speculative che alimentano bolle finanziarie, immobiliari e cripto. La percezione del valore nasce da packaging accattivanti, sponsorizzazioni mediatiche e algoritmi social che premiano il clamore, disallineando il prezzo dal valore reale del prodotto o servizio.
In un’economia che premia solo il profitto, l’etica viene vista come un costo superfluo. Chi prova a proporre trasparenza e autenticità viene travolto dalla speculazione. I consumatori più attenti possono scegliere di informarsi, ma senza un terreno in cui questa etica possa germogliare ogni sforzo rischia di restare marginale. Il marketing dei grandi attori resta dominante, mentre la qualità vera si rifugia in nicchie sempre più piccole.
Il sistema capitalista non riconosce altra legge che il guadagno, sgretolando qualunque pretesa di etica o di autenticità. L’informazione indipendente viene oscurata da campagne milionarie volte a consolidare un racconto univoco capace di sedurre la massa. L’obiettivo è spremere risorse da chi crede nell’esclusività venduta. Il consumatore, ridotto a semplice portafoglio ambulante, è un ingranaggio in un meccanismo che mira unicamente al profitto.
Le tecniche sono sempre le stesse: la paura di perdere un’occasione spinge all’acquisto impulsivo, mentre testimonial e algoritmi creano un’aura irresistibile di desiderabilità. Il tutto si regge sulla scarsa cultura critica della maggior parte degli utenti social. Brand e presunti professionisti diventano strumenti di un sistema che misura tutto in termini di ritorno economico.
Il rapporto con il pubblico, specie sui social, non si basa su fiducia ma su formule di guadagno, alimentando una bolla mediatica intorno al servizio offerto. Ma ogni bolla prima o poi scoppia: basta uno scandalo, recensioni negative o il calo d’interesse, e allora il crollo avviene in modo brusco e spesso spettacolare. A farne le spese sono sempre i più deboli: clienti delusi, lavoratori onesti e imprese trascinate nel fallimento. Chi ha speculato salva i propri capitali, mentre la reputazione di un intero settore va in frantumi.
Il ciclo però si ripete: nuove bolle sorgono rapidamente, pronte a sfruttare le stesse fragilità. In questo scenario, il “capitalismo delle bolle” non conosce pietà né valori umani: l’unica regola è il margine di profitto. Finché l’economia sarà governata da logiche speculative, sarà impossibile costruire legami autentici tra cliente e professionista.
Lo spettacolo e il narcisismo digitale continueranno a soffocare ogni contenuto reale, lasciando solo brand pomposi e consumatori sempre più disillusi. In questo contesto, il vero lusso sarà la consapevolezza di saper distinguere fra il prezzo gonfiato e il valore reale per evitare di restare intrappolati in queste “truffe legalizzate”.
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