Il giorno il cui il Mossad chiuse gli occhi (e qualcuno, forse, glielo ordinò)
- Postato il 28 luglio 2025
- Editoriale
- Di Paese Italia Press
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di Massimo Reina
Il Mossad. Quel nome, da solo, evoca tutto: efficienza, mistero, letalità chirurgica. I bambini ne leggono nei romanzi di spionaggio, i registi lo trasformano in thriller, gli Stati ci fanno accordi e patti sotto banco. Il Mossad è l’equivalente operativo del mito: l’intelligence più temuta, più potente, più penetrante del mondo. Capace di uccidere un ingegnere nucleare a Teheran senza lasciare tracce, di eliminare un capo di Hezbollah con un cellulare-esca, di infiltrare chiunque e ovunque.
Eppure, il 7 ottobre 2023, il Mossad e tutto l’apparato di sicurezza israeliano non vide nulla. Nessun allarme. Nessun agente sotto copertura che avverte. Nessun drone che intercetta. Nessuna barriera che regge. Solo un vuoto. Quel giorno, Hamas attacca Israele via terra, cielo e mare, uccidendo circa 1.200 persone, prendendo più di 250 ostaggi. Un attacco che dura ore. Che si sviluppa con deltaplani, bulldozer, incursioni nei kibbutz. Tutto sotto il naso di uno degli eserciti più tecnologicamente avanzati del mondo. E del Mossad, neppure l’ombra.
Il paradosso dell’intelligence onnipotente
Non stiamo parlando di un gruppo di guerriglieri spuntati dal nulla. Parliamo di un piano durato mesi, forse anni. Hamas ha coordinato reparti, raccolto armi, progettato strategie d’assalto multiple e simultanee. Tutto questo in una Striscia di Gaza che è praticamente un carcere a cielo aperto, sorvegliato h24 da droni, sensori, torrette automatiche, e soprattutto informatori.
E allora la domanda si fa inevitabile: Com’è possibile che il Mossad non sapesse? La risposta, purtroppo, ha più di una faccia. Ami Ayalon, ex direttore dello Shin Bet, lo dice senza mezzi termini: “Non si può parlare solo di sorpresa. Questo è stato un fallimento dell’intero sistema di sicurezza israeliano” (Channel 12 News, ottobre 2023).
Il fallimento è troppo profondo per essere un incidente. Lo stesso Efraim Halevy, ex capo del Mossad, in un’intervista a Haaretz ammette: “Abbiamo perso la capacità di vedere il nemico nella sua evoluzione politica e militare.”
Ma in colloqui riservati riportati da Middle East Eye, lo stesso Halevy avrebbe affermato che in certi ambienti si riteneva che un attacco non solo fosse prevedibile, ma in qualche modo utile a giustificare un’operazione militare di grande portata.
Il documento dimenticato (volontariamente?)
Nel novembre 2023, il sito Intelligence Online pubblica la sintesi di un documento riservato delle IDF redatto a luglio 2023. Il rapporto metteva in guardia da un possibile attacco in grande stile da parte di Hamas con l’utilizzo simultaneo di deltaplani, bulldozer e droni esplosivi. E ancora: attacco combinato alle postazioni militari e ai civili nei kibbutz, presa di ostaggi per uso mediatico e negoziale.
Insomma, è esattamente ciò che accadde il 7 ottobre! Ma il documento, a quanto pare, non fu trasmesso al comando politico. Secondo alcune fonti interne, fu archiviato come scenario improbabile. Capite? Diversi ex analisti del Mossad e della CIA, citati in inchieste condotte da The Grayzone e Mondoweiss, si sono detti sconcertati:“L’infiltrazione a quel livello non è compatibile con il livello di sorveglianza israeliano. Qualcosa non torna.”
Chi sapeva, e non ha parlato
“Se il Mossad è in grado di colpire uno scienziato a Teheran in mezzo al traffico, com’è possibile che non intercetti 2.000 miliziani in movimento a Gaza?”. Se lo sono chiesti in tanti, anche Jonathan Cook, ex corrispondente del Guardian, che va oltre: “Israele ha forse usato l’attacco come catalizzatore per portare avanti un piano già scritto: la cancellazione totale della presenza di Hamas a Gaza.”
A distanza di mesi, gli ostaggi israeliani non sono stati liberati. Hamas non è stata annientata. I tunnel non sono stati distrutti. I leader non sono stati eliminati. Anzi, Hamas resiste, colpisce, comunica. Il Mossad che trova un dissidente iraniano a 5.000 km di distanza non riesce a trovare un comandante nemico a pochi metri da un checkpoint IDF?
Com’è possibile? Solo due risposte sono plausibili: Il Mossad non può agire come dovrebbe, oppure il Mossad non deve. E in entrambi i casi, la conclusione è agghiacciante.
Il casus belli perfetto
C’è chi, come Max Blumenthal (The Grayzone), parla apertamente di un “11 settembre israeliano”: “Una tragedia vera, dolorosa, ma anche un lasciapassare politico per un’operazione totale contro Gaza.”La sequenza è sempre la stessa: un attacco sconvolge l’opinione pubblica, il governo che invoca la legittima difesa e così via. Poi si scatenano bombardamenti indiscriminati e si aizzano i cani da guardia dell’informazione libera, per generare fake news. I media occidentali si accodano, invocano “moderazione”, ma di fatto legittimano.
Risultato: 20.000 morti a Gaza, un genocidio a puntate, e una guerra che non cerca più risposte ma solo un alibi permanente. Insomma, alla fine della fiera la domanda non è più: “Come ha fatto Hamas ad attaccare?”, ma “Chi ha deciso di non fermarli?”.
E se la risposta è: “Perché serviva un pretesto”, allora il 7 ottobre non è solo il giorno di un massacro. È il giorno in cui qualcuno, forse, nel cuore dello Stato più sorvegliato del mondo, ha scelto di chiudere gli occhi. E nessuno ha il coraggio di chiedergli il perché.
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