Il prete palestrato e tatuato che dispensa pillole di storie dell’arte sui social
- Postato il 3 agosto 2025
- Arte Contemporanea
- Di Artribune
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Fisico scolpito, barba curata e tatuaggi in vista. Così si presenta don Giuseppe Fusari, prete bresciano che sta spopolando su Instagram vantando un profilo da oltre 60mila follower. A renderlo un influencer è la sua capacità di comunicare e divulgare argomenti religiosi e pillole di storia dell’arte con un approccio diretto e giovanile. Volevamo conoscerlo meglio e abbiamo deciso di fargli qualche domanda.
Intervista a don Giuseppe Fusari
Storico dell’arte, scrittore e prete. Quanti volti si celano dietro Giuseppe Fusari?
Quello che posso dire è che il volto onnicomprensivo è quello da prete. Lo sono da 33 anni, ho fatto il seminario e poi dopo ho intrapreso un percorso di studi umanistici prendendo il dottorato in Storia dell’arte. Una passione che mi ha portato anche a “vestire i panni” di professore proprio all’Università la Cattolica di Brescia. Oltre a questo ho anche diretto il Museo Diocesano di Brescia e sono autore di diverse pubblicazioni dedicate alle chiese e ai palazzi storici bresciani, oltre ad aver firmato la monografia dell’artista tedesco Johann Carl Loth.
Come nasce questa fascinazione per la storia dell’arte?
La storia dell’arte ha reso più bello anche il mio lavoro, facendomi riscoprire il motivo, la storia e i temi che si celano dietro a tantissime opere d’arte a sfondo religioso. Un’opportunità che ho modo di divulgare attraverso la mia professione.
Come vive il rapporto con i ragazzi?
Fin da giovane ho privilegiato il rapporto con i giovani, sebbene non sia sempre semplice. Dico questo perché a volte i ragazzi sono intimoriti dalla visione di un professore, ragion per cui ho deciso di relazionarmi con loro in maniera differente, considerandoli degli adulti. In questo modo riesco ad avere dagli studenti un feedback diverso e diretto.
La comunicazione religiosa e storico artistica nell’era dei social media
Come è nata l’avventura dei social?
In maniera strana. Tutto parte dalla mia profonda curiosità e il mio modo di affrontare le tematiche religiose e artistiche. Il mio obiettivo era cercare intercettare interlocutori lontani da me, dispersi potremmo dire. Quindi ho deciso di partire dalla palestra, un luogo limite dove le persone non sono avvezze a parlare di salmi o di grandi artisti, e così ho iniziato a parlare con loro adeguandomi al contesto.
Qual è stato il riscontro con questi interlocutori “distanti”?
Il riscontro è stato positivo perché c’era curiosità sugli argomenti, senza alcun tipo di “sospetto”. Una libertà che ha reso questo esperimento ben riuscito.
Ripensare alla comunicazione per avvicinare i giovani all’arte
Essendo anche un esperto di comunicazione: pensa che bisognerebbe ripensare il linguaggio per avvicinare sempre più giovani alla storia dell’arte?
Io ho un’idea tutta mia. Io credo che la chiave sia non banalizzare. Tra i divulgatori che stimo c’è Jacopo Veneziani. Un ragazzo che è sul pezzo, studia e parla con convinzione della storia dell’arte e dei suoi protagonisti. Anche Philippe Daverio era molto bravo tanto da riuscire a intrattenere gente di tutte le estrazioni su temi molto alti, senza mai banalizzare gli argomenti.
Cosa vuol dire per lei comunicare?
Comunicare vuol dire tornare a sognare. Ricordo di aver letto la descrizione di un dipinto di Proust. Ecco in quella descrizione (e nelle sue ampie digressioni) prendeva forma una concatenazione di narrazioni ed esperienze che ti facevano entrare nell’opera, scandagliandone le diverse chiavi di lettura. Una lettura approfondita che si discosta dai superficiali selfi che immortalano sempre più persone davanti a capolavori come la Monnalisa o la Venere di Botticelli.
Valentina Muzi
L’articolo "Il prete palestrato e tatuato che dispensa pillole di storie dell’arte sui social" è apparso per la prima volta su Artribune®.