Il Re Pastore di Mozart all’Opera di Roma: la regia restituisce bene la tenerezza dell’innamoramento

  • Postato il 23 maggio 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Roma celebra Mozart: in scena al Teatro Nazionale, all’interno della rassegna “Volti del Potere dell’Opera di Roma”, è ritornato dopo 37 anni Il Re Pastore di Wolfgang Amadeus Mozart. Scelta evidentemente nata per celebrare i 250 anni dalla prima rappresentazione assoluta, presso la residenza del famigerato arcivescovo Colloredo, il quale aveva commissionato al 19enne Amadeus l’opera in occasione di una visita dell’arciduca Massimiliano d’Asburgo Lorena (figlio della grande Maria Teresa d’Austria).

Un’opera giovanile, dunque, eppure in cui già freme il genio mozartiano: si sente molto la lezione di Christoph Willibald Gluck (che aveva già musicato il melodramma circa venti anni prima) quanto, più in generale, quella di Georg Friedrich Händel. Il melodramma di Pietro Metastasio, grande protagonista della corte viennese di Maria Teresa in quegli anni, esprime tutti le note caratteristiche dell’autore romano: tutto lo splendore della visione arcadica, su versi colmi di giocoso pudore, che contrappongono “Amore contro ragion di Stato”. Il tema è chiaro: il peso della corona, la responsabilità del Potere come schiavitù, che rende invidiabile la condizione “selvaggia” di pastore “poverello”. L’innocenza contro il calcolo, l’artificio contro la natura.

Il melodramma, tecnicamente presentato come serenata per il carattere concertante, si sviluppa come serie di arie introdotte da una ouverture. Coerente con le premesse programmatiche, l’Opera di Roma sceglie ancora una volta un’opera meno nota, in una produzione appositamente calibrata per quel gioiellino che è il Teatro Nazionale. Spazio che si presta perfettamente all’atmosfera delle prime opere mozartiane: nelle rappresentazioni della corte viennese, sia l’apparato scenico che l’azione teatrale erano ridotti al minimo. Il tutto viene narrato dal dono divino della melodia mozartiana.

Parliamo di questa rappresentazione, affidata a Cecilia Ligorio, affiancata da Gregorio Zurla per le scene, Vera Pierantoni Giua per i costumi e da Fabio Barettin per le luci. La direzione orchestrale è affidata a Manlio Benzi. Consapevole del mio infantile entusiasmo per qualsiasi manifestazione del genio mozartiano, ho avuto l’accortezza, dopo la prima romana, di confrontarmi con stimati colleghi, di cui riporto brevemente alcune considerazioni che condivido. Come ha ben scritto Loredana Margheriti nella sua recensione su Progetto Italia News: “La riuscita musicale di questa produzione poggia su un’ottima distribuzione delle vocalità: il contrasto tra timbri e tessiture arricchisce un’opera che, pur breve, si fonda tutta sull’espressività delle voci. I cantanti, guidati con sensibilità da Manlio Benzi, sembrano non solo rispettare ma “vivere” l’ideale mozartiano di canto: puro, articolato, profondamente umano. La partitura rivela un’inventiva musicale incredibile per un autore come Mozart già capace a 19 anni di scolpire caratteri vocali con sorprendente maturità”.

Dal punto di vista registico, condivido invece il giudizio di Francesco Giudiceandrea su GB Opera: “La regista immagina il primo atto immerso in una atmosfera forse più ispirata al mondo verde che non agli idilli dell’Arcadia metastasiana, contrapposta ad un secondo atto viceversa ambientato in un interno architettonico dalle forme squadrate e geometriche, razionale ed elegante nel quale in una sorta di continuo movimento a tratti un po’ eccessivo e non sempre in armonia con la musica diversi figuranti vagano in modo non sempre comprensibile o funzionale al fluire delle note”.

Parliamo degli interpreti: autorevole e convincente il tenore Juan Francisco Gastelle nei panni del monarca “illuminista” Alessandro il Grande, Aminta ben resa da Miriam Albano, soprano lirico di coloratura in costante evoluzione, Francesca Pia Vitale, nonostante un’indisposizione alla prima, rende la combattiva passione di Elisa, ben calibrata dal gioco speculare di Tamiri, interpretata da Benedetta Torre, e dall’Agenore, dilaniato tra sentimenti e fedeltà militare, di Krystian Adam.

La regia a volte è inutilmente frenetica, ma restituisce in maniera commovente la tenerezza dell’innamoramento, grazie anche alla dolcezza melodrammatica degli interpreti: bello l’accorgimento di rendere l’amata sognata sullo sfondo durante “L’amerò, sarò costante” (peccato non aver fatto prendere l’applauso in scena a Miriam Albano).

Oggi in scena l’ultima rappresentazione. Vi consiglio di non perdervi l’occasione di omaggiare Mozart nella capitale.

Foto in evidenza dal canale Youtube del Teatro dell’Opera di Roma

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Il Fatto Quotidiano

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