“Insieme contro la ‘ndrangheta violenta e patriarcale per ricordare mia sorella Maria Chindamo”

  • Postato il 1 maggio 2025
  • Mafie
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Un luogo simbolico. Oggi di speranza, ieri di morte. Un luogo, quel cancello, dove Maria Chindamo è stata aggredita. Dove è stata sequestrata. E dove i carabinieri e il fratello Vincenzo hanno trovato la sua auto, con il motore ancora accesso, in mezzo a tante macchie di sangue perso dalla donna nel disperato tentativo di fuggire ai suoi aguzzini. Uomini della ‘ndrangheta che, per la Dda di Catanzaro, l’hanno data in pasto ai maiali che in 20 minuti hanno lasciato intatte solo le ossa, poi macinate con un trattore cingolato.

È lì, a Limbadi, davanti a quel cancello che il 6 maggio i familiari e il comitato “Controlliamo noi le terre di Maria” hanno organizzato un momento di riflessione durante il quale sarà inaugurato uno spazio giardino, progettato dagli studenti dell’Istituto d’Istruzione Superiore di Vibo Valentia, e sarà presentata una scultura commemorativa, realizzata dall’artista Luigi Camarilla. Nel giardino, inoltre, verrà inscenato un estratto dello spettacolo teatrale “Se dicessimo la verità” di Giulia Minoli ed Emanuela Giordano, che racconta la storia di Maria Chindamo, vittima di lupara bianca, uccisa perché accusata di aver causato il suicidio dell’ex marito, lasciato per un altro uomo, e di aver amministrato da sola le proprie terre che facevano gola ai boss e ai loro gregari.

Sono passati nove anni da quel maledetto 6 maggio 2016 in cui Maria Chindamo, originaria di Laureana di Borrello, è sparita nel nulla mentre si trovava nella sua tenuta agricola di Limbadi, regno della cosca Mancuso. Un brutale omicidio di una donna libera, madre e imprenditrice calabrese che ha pagato con la vita la scelta di non piegarsi alla cultura patriarcale e ‘ndranghetista.

L’incontro vuole essere l’occasione di una profonda riflessione sulla difficoltà di affermare l’indipendenza delle donne in contesti dominati dalla criminalità organizzata. Ed è per questo che al comitato “Controlliamo noi le terre di Maria” hanno aderito diverse organizzazioni, tra cui il Centro comunitario Agape, Libera, Goel gruppo cooperativo, la comunità “Progetto Sud”, “Penelope Italia”, “Cco” (Crisi Come Opportunità), la fondazione “Una Nessuna Centomila” e il centro di Women’s Studies “Milly Villa” dell’Università della Calabria, con il patrocinio dei Comuni di Limbadi e Rombiolo. “Illuminare il 6 maggio non è solo un gesto simbolico, è un atto politico, culturale, umano. – si legge in una nota stampa del Comitato – È un’azione che unisce memoria e futuro, trasformando un luogo segnato dalla violenza in uno spazio di luce, giustizia, memoria e rinascita”.

Il fratello di Maria, Vincenzo Chindamo, non ha dubbi: “Questo evento commemorativo rappresenta l’espressione dei cittadini che resistono e si oppongono alla ‘ndrangheta patriarcale e violenta che non potrà mai arrestare i sentimenti, i percorsi di crescita e riscatto. Siamo riusciti a mettere in rete diverse realtà, tante le associazioni e, anno dopo anno, se ne stanno aggiungendo altre. C’è in atto un’esplosione di collaborazioni anche con le scuole che ci seguono e vogliono partire dalla storia di Maria per parlare di femminicidio e attività di contrasto alla ‘ndrangheta”. “Ci sono stati ragazzi della scuola media di Vibo Valentia e San Costantino – aggiunge Vincenzo – che hanno fatto la tesina su mia sorella. Sono cose forti. Questa è antimafia, è rete. Siccome Maria risulta ancora scomparsa, il giudice ha incaricato la cooperativa Goel di amministrare le sue terre che adesso stanno dando i loro frutti. Questo è un segnale positivo perché le terre non sono nelle mani della ‘ndrangheta che le avrebbe invece volute. L’iniziativa del 6 maggio di quest’anno è la sintesi di tutto questo”.

Per la Dda di Catanzaro, il mandante dell’omicidio di Maria Chindamo sarebbe stato suo suocero, Vincenzo Puntoriero, deceduto prima di essere arrestato assieme al presunto esecutore materiale, Salvatore Ascone detto il “Pinnolaru”, un pastore che, per conto dei Mancuso, voleva i suoi terreni e l’attività agricola della vittima. Stando agli atti del processo, istruito dal pm Annamaria Frustaci, il figlio di Ascone (all’epoca minorenne) descrisse l’esecuzione a Emanuele Mancuso, oggi collaboratore di giustizia ma all’epoca per tutti era il figlio del boss Pantaleone Mancuso detto “l’Ingegnere”: “Mi disse che, in 20 minuti, i maiali si erano divorati il corpo della donna e che avevano poi triturato i resti delle ossa con una fresa o con un trattore”.

Il processo a Salvatore Ascone è iniziato nel marzo 2024 davanti alla Corte d’Assise di Catanzaro e, a distanza di un anno, è stato sentito solo uno dei 50 testimoni che dovranno ricostruire in aula il calvario di Maria Chindamo. Il fratello Vincenzo parla di “rallentamenti tecnici in questa prima fase, ma adesso mi aspetto che rapidissimamente le udienze prenderanno terreno e il processo entro breve si svolgerà. Sono tanti i testimoni che vanno sentiti subito e bene. Ricordo che è un processo che ha un solo imputato. Io alla giustizia, che avrà i suoi tempi e che sono sicuro non si fermerà, chiedo tutti i responsabili dell’omicidio di Maria. Li chiedo tutti. E a fronte di questa richiesta avranno tutta la mia collaborazione”.

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Il Fatto Quotidiano

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