Israele è sempre meno democrazia e sempre più Stato confessionale: l’assetto tipico delle tirannie

  • Postato il 22 agosto 2025
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di Rosamaria Fumarola

La sola democrazia in area mediorientale. Con questa secca quanto sterile definizione Israele è stato da sempre difeso da un Occidente ipocrita, che non riflette nemmeno più su ciò quanto dichiara a parte la perseveranza nel dare nomi diversi alla realtà di quanto è accaduto e accade in terra di Palestina – e non mi riferisco alla disputa sull’uso del termine genocidio, espressione peraltro più che calzante, ma al non volere prendere una naturale posizione di condanna di fronte ad immagini che sin da subito raccontavano lo sterminio pianificato dei bambini, come le mutilazioni dei loro corpi, l’assassinio di medici in missione volontaria, quello dei giornalisti, come se tutto quel sangue non fosse davvero sangue.

Come sopra scritto, a parte questa e tante altre responsabilità di cui Stati che si dicono civili prima o poi dovranno rispondere, mi è parso che nel dibattito attuale sia mancato altro e cioè una riflessione essenziale per inquadrare il rapporto tra Israele e Palestina, relativa alle peculiarità di quella che troppi si ostinano ancora a chiamare “la sola democrazia in area mediorientale”. Israele è infatti oggi un paese sempre più confessionale e sempre meno democratico, grazie ad una legge del 2018 che ne fa lo stato della nazione ebraica, legge peraltro sottoposta ad una disciplina che la rende abrogabile soltanto attraverso un procedimento complesso, dedicato appunto a quelle norme a cui si riconosce valore superiore nella scala gerarchica legislativa.

La legge, che non si fa fatica a definire razzista, è stata sostenuta, ça va sans dire, dalla destra di Netanyahu e benché abbia subìto un iter travagliato è stata democraticamente votata. Questo non può che far tornare alla mente il destino tragico di tante democrazie come la Germania e l’Italia, diventate nel secolo scorso dittature grazie a istituzioni assolutamente democratiche, ma questo è un discorso diverso e troppo complesso per essere affrontato in un post solo.

All’interno di Israele il cittadino è definito dunque da una appartenenza etnico-religiosa per effetto della quale solo gli ebrei hanno diritto all’autodeterminazione. L’arabo viene ad esempio definito “lingua d’interesse” e di fatto solo gli ebrei possono esercitare diritti prima riconosciuti alla platea più vasta degli abitanti d’Israele.

Essere uno stato sempre più confessionale e sempre meno democratico non può ovviamente scindersi da ciò che accade oggi in Palestina. Nella storia assetti istituzionali analoghi sono stati sempre ampiamente condannati e superati, perché la democrazia per essere tale ha bisogno dell’abito della laicità.

A tutt’oggi l’abbraccio tra religione e organizzazione statale è tipica delle tirannie che si servono della religione per esprimere in maniera totalitaristica il potere sui cittadini. Se infatti il potere politico trae legittimità da Dio, chi avrà il coraggio di metterlo in discussione? Inutile sottolineare che in nome di tale sodalizio al potere politico è concessa un’assoluta libertà d’azione, anche quella di porre in essere il genocidio al quale stiamo assistendo. Proviamo però a fare un passo indietro.

Si narra che nell’estate lontana del 1209, durante la battaglia di Béziers, l’abate cistercense Arnaud Amaury, principale responsabile politico della crociata contro gli Albigesi, rispondendo ad un soldato che gli chiedeva come distinguere tra eretici e cattolici, abbia risposto: “Uccideteli tutti, Dio riconoscerà i suoi”, una delle frasi più celebri della storia medievale e forse tout court della storia dell’Occidente.

Studi recenti mettono in dubbio che l’abate Amaury l’abbia effettivamente pronunciata, ma se pure non lo fosse stata sintetizzerebbe efficacemente lo spirito con il quale alcuni espressero in quegli anni il proprio potere. E il Medioevo non è poi così lontano.

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