Israele perderà la guerra demografica coi Paesi vicini: sarebbe ora che fermasse le armi e passasse al dialogo

  • Postato il 7 agosto 2025
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Ora che la guerra dei dodici giorni tra Iran e Israele è alle spalle, entrambi i paesi sostengono di aver ottenuto una vittoria militare. Questo accade sempre tra le parti in conflitto. L’Iran ha dimostrato la capacità del suo arsenale missilistico e Israele, con il supporto degli Usa, ha bombardato i siti nucleari iraniani nella speranza di annientarli.

Ma al di là delle guerre combattute sul campo, esistono anche altre dinamiche conflittuali, più insidiose perché meno visibili, che operano lentamente nel tempo e che possono invertire i risultati del presente, trasformando i vincitori in perdenti. Una di queste dinamiche di fondo, forse quella meno considerata, è quella demografica. Vale la pena allora di guardare a quello che accadrà nei prossimi decenni in Medio Oriente.

I dati più attendibili sono quelli forniti dall’Ined, l’Istituto nazionale francese di studi demografici. Questo centro studi produce periodicamente delle previsioni demografiche che arrivano ad abbracciare tutto il secolo, con risultati anche scioccanti. Per esempio, la Cina perderà da qui al 2100 il 50% della sua popolazione a causa delle precedenti restrizioni demografiche e di altri fattori. Per i nostri scopi mi limito alla prossima generazione, fermandomi al 2050. Come cambierà la popolazione nell’area critica del Medio Oriente nei prossimi anni e con quali conseguenze geopolitiche?

Le tendenze di fondo sono molto chiare. Il gigante della regione è senza dubbio l’Egitto. I suoi abitanti passeranno dai 116,5 milioni odierni a 162 milioni, con un incremento del 40%. Questa tendenza alla crescita è comune a tutti i Paesi di quest’area, con velocità differenti. La Giordania passa da 11,6 milioni di abitanti a 16 milioni. La Siria cresce da 24 a 38 milioni. Anche la crescita demografica dell’Iraq è notevole, da 46 milioni di abitanti a 72. La popolazione dello Stato palestinese passa da 6,4 milioni di abitanti a 8,5. L’Iran crescerà da 91,6 a 102 milioni di abitanti. Nel complesso è tutto il mondo arabo che dimostra una forte crescita demografica. Dall’altra parte, per così dire, abbiamo anche la crescita demografica dello Stato israeliano dove la popolazione passa da 9,4 milioni a 13 milioni nel 2025.

Se queste previsioni si avvereranno, è chiaro che la situazione mediorientale subirà dei cambiamenti sostanziali. La pur notevole crescita demografica israeliana difficilmente potrà sostenere il confronto con i cento e passa milioni di nuovi cittadini degli Stati confinanti. Possiamo dire, tranquillamente, che Israele sta perdendo abbondantemente la sua guerra demografica con il mondo arabo, e nemmeno potrebbe essere diversamente.

Se questo è il quadro di fondo, per il piccolo Stato di Israele è necessario fare una riflessione su quale rapporto intenda costruire con i Paesi limitrofi. Finora ha puntato tutto sulla forza militare con il sostegno incondizionato degli Usa. Hanno applicato il vecchio motto latino, che anche la nostra premier ha rispolverato, “Se vuoi la pace, preparati alla guerra”. Ma questa strategia bellicistica funziona, se funziona, quando le forze sono in equilibrio. Abbiamo visto invece che le tendenze demografiche aumenteranno il solco tra Israele e i Paesi intorno. Sempre di più la popolazione israeliana sarà una goccia in un mare arabo, se non ostile, di sicuro mal disposto.

Israele è un piccolo Paese con un elevato reddito pro capite, collocato in una vasta area dominata dalla povertà e dalla crescita demografica dei paesi circostanti. Le formidabili difese militari e tecnologiche di cui gode possono difendere la sua gracile, demograficamente parlando, posizione nel breve periodo, anche se a caro prezzo come vediamo ogni giorno nel mattatoio di Gaza voluto dal premier Netanyahu sul quale pende un mandato di arresto della Cpi per crimini contro l’umanità. Ma la sua netta superiorità militare poco funzionerà nel lungo periodo, dove ben altre forze fondamentali sono all’opera. La demografia suggerisce ampiamente ai governanti di Israele di abbassare le armi e di passare al dialogo, se si vuole costruire un futuro politicamente sostenibile.

Adesso Israele, per colpa di un governo autoritario e antidemocratico, sta andando nella direzione opposta, puntando tutto sull’opzione militare. Spetta alla società civile israeliana l’ultima parola se accettare la sfida demografica, e quindi trovare le opportune forme di collaborazione pacifica con i Paesi confinanti, oppure cercare di contrastarla con continue opzioni militari che non fanno altro che minacciare la sua sicurezza.

Non solo la teoria dei giochi degli economisti, ma anche l’esperienza reale dimostra che il motto caro ai romani sopra citato porta solo all’escalation e, in definita, alla distruzione di entrambi i belligeranti. La corsa internazionale agli armamenti degli anni Sessanta ha dimostrato che solo il dialogo procura il successo del disarmo e porta a una maggior sicurezza per tutti. Ma perché questo accada serve un coordinamento internazionale onesto e credibile, esattamente il contrario della dottrina Trump della belligeranza contro tutto e contro tutti, dal commercio all’ordine giuridico internazionale. La Ue dovrebbe a questo punto dire la sua.

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Il Fatto Quotidiano

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