La bellezza come resistenza civile. Non salverà il mondo ma può salvarci dall’indifferenza
- Postato il 29 luglio 2025
- Arti Visive
- Di Artribune
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“È vero, principe, che lei ha detto una volta che la bellezza salverà il mondo?” chiede Ippolit, irridendolo, al protagonista de L’Idiota di Dostoevskij. Ma il principe Myškin non risponde. Il suo silenzio è più eloquente di qualsiasi proclama. Eppure quella frase è diventata un mantra, usata per i più banali meme, uno slogan buono per ogni tempo, un rifugio estetico contro la brutalità del reale. Un fraintendimento, forse utile, ma pur sempre un fraintendimento usato anche peggio.
Oggi, di fronte ai bambini sepolti sotto le macerie a Gaza, ai corpi abbandonati nei campi minati del Donbass, alle guerre dimenticate in Sudan, Yemen, Congo, ci si chiede: “la bellezza può salvarci davvero? Quella delle immagini patinate nei musei, o quella che resiste negli occhi di chi – pur colpito – non smette di credere nell’umano?”
La bellezza salvifica di chi ha il coraggio della verità
La bellezza che può ancora dirsi “salvifica” non è quella che consola, ma quella che inquieta. Non è mera estetica, è etica. È la bellezza di chi “sceglie di non voltarsi dall’altra parte“, come direbbe Primo Levi. È la bellezza della parola libera, dell’opera che denuncia, dell’arte che osa nominare l’orrore senza addomesticarlo.
La bellezza, nel pensiero dostoevskiano, è attraversata da un conflitto interiore: può essere sublime come demoniaca, portatrice di grazia come di fanatismo. In un mondo segnato dal male, non è mai redentrice in sé.

Nell’epoca della realpolitik la bellezza ammessa non può che essere orpello
Alla luce dei conflitti contemporanei questa citazione diventa un paradosso: può davvero la bellezza salvarci, quando il diritto internazionale è sistematicamente violato, le organizzazioni multilaterali paralizzate e le narrazioni ufficiali appiattite dalla propaganda? Oggi il linguaggio della geopolitica è dominato dalla realpolitik, dall’interesse strategico e dall’asimmetria mediatica. Il potere fa cultura soltanto come manifestazione di se stesso e non tollera la bellezza se non come orpello ornamentale o soft power che non interroga né infastidisce.
L’unica bellezza possibile è quella che si esprime come resistenza civile
Quando l’arte si fa denuncia, viene invece repressa o marginalizzata. Tuttavia, proprio in queste pieghe si annida una possibilità altra: la bellezza come resistenza civile.
Dalla poesia clandestina nei campi di prigionia ucraini, ai graffiti di Banksy nei territori palestinesi, fino ai festival culturali resistenti in Kurdistan, l’estetica può diventare strumento di contro-narrazione, testimonianza umana e memoria vivente.
In questo senso, la bellezza non è consolazione, ma inquietudine. Non rassicura, ma interroga. Come scrive Camus: “la bellezza, insieme con la rivolta, ci impedirà di disperare”. È questa la bellezza che resiste alle macerie e che denuncia le ipocrisie globali: quella che, pur non salvando il mondo, ci salva dal diventare complici della sua rovina.
La bellezza come antidoto all’indifferenza
Ecco, forse la bellezza che resiste al male è proprio quella che ci impedisce di arrenderci all’odio, che ci ricorda che, nonostante tutto, l’umano vale ancora la pena. Può costringerci a guardare ciò che la retorica nasconde. E può farci una domanda: dove stiamo guardando, mentre tutto questo accade? Quindi, forse non salverà il mondo, la bellezza, ma può ancora salvarci dall’indifferenza.
Angelo Argento
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L’articolo "La bellezza come resistenza civile. Non salverà il mondo ma può salvarci dall’indifferenza" è apparso per la prima volta su Artribune®.