La centralità dell’Ai sta relegando le soft skill a un ruolo marginale: va invertita questa tendenza

  • Postato il 22 ottobre 2025
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di Gian Carlo Cocco *

Gli effetti della rivoluzione digitale e dell’IA

La diffusione massiva della digitalizzazione e dell’intelligenza artificiale (IA) ha migliorato l’efficienza in vari settori – industriale, scientifico, medico e perfino militare – grazie alla velocizzazione della comunicazione e delle operazioni. Tuttavia, questi sviluppi presentano anche effetti collaterali preoccupanti. Si osserva una crescente dipendenza da queste tecnologie, che mina la capacità di attenzione e indebolisce la professionalità degli adulti e le abilità cognitive dei giovani. Alcuni esperti paragonano questa dipendenza a forme di tossicodipendenza.

A tutto ciò si aggiunge il potere incontrastato di poche grandi multinazionali (in prevalenza statunitensi) che dominano il mercato, ottengono guadagni iperbolici sostanzialmente esenti da imposte e influenzano l’opinione pubblica tramite social media e piattaforme digitali. Questo meccanismo genera una sorta di “capitalismo della sorveglianza” in cui gli utenti vengono tracciati, condizionati e spinti all’acquisto agendo sulle emozioni. Il risultato è una società apparentemente connessa, ma in realtà disorientata, distratta e vulnerabile, in cui la conoscenza viene delegata a un click e la libertà individuale si assottiglia sotto una nuova tirannia digitale.

L’influenza sul comportamento individuale e collettivo

Le tecnologie digitali esercitano un’influenza ipnotica sull’attenzione delle persone, interferendo con le naturali dinamiche cerebrali che presiedono a riflessione e apprendimento. Le neuroscienze hanno evidenziato che l’uso intensivo di dispositivi digitali può creare dipendenza e compromettere la capacità di concentrazione. Questa disfunzione non riguarda solo gli utenti dei social media, ma anche manager e professionisti, che vivono in una costante operatività frenetica, spesso inefficace. Il fenomeno dell’“isolamento tecnologico” alimenta uno stato di distrazione cronica: secondo Daniel Goleman, oggi le persone passano circa metà del tempo a pensare ad altro rispetto a ciò che stanno facendo.

Nel contesto lavorativo, le relazioni umane dirette vengono progressivamente sostituite da interazioni virtuali più comode ma meno autentiche. Questo allontana i professionisti dal contatto reale con colleghi, clienti e collaboratori, riducendo la qualità delle relazioni e delle prestazioni.

La vera sfida: recuperare sapere e capacità

La sfida non è adattarsi passivamente all’uso indiscriminato dell’IA, ma rimettere al centro il sapere critico e in continua evoluzione, oggi minacciato dalla superficialità dell’informazione digitale. Serve un recupero sistematico della conoscenza reale, non delegata agli algoritmi, e una valorizzazione delle competenze umane.

Particolare attenzione va data alle cosiddette soft skill – le competenze comportamentali – che sono fondamentali per gestire relazioni efficaci con clienti, colleghi e collaboratori. L’efficacia del lavoro umano dipende infatti dalla capacità di combinare sapere e comportamento, in un’ottica di interazione dinamica e consapevole. Solo rafforzando queste capacità sarà possibile mantenere alta la qualità delle prestazioni nei diversi ambiti professionali, pubblici e privati, superando la convinzione – fuorviante – che la tecnologia possa sostituire completamente l’intelligenza umana.

Sapere e capacità: due facce della stessa medaglia

Ogni professionista dispone di due patrimoni complementari: le hard skill (conoscenze tecnico-specialistiche) e le soft skill (capacità relazionali e comportamentali). Entrambe risiedono nella mente dell’individuo e devono essere sviluppate congiuntamente. Le hard skill sono promosse sin dalla scuola e valorizzate da corsi universitari, master e formazione continua. Ma senza le soft skill, anche il sapere più avanzato rischia di restare sterile. Le soft skill permettono di rendere operativa la conoscenza e sono sempre più riconosciute come determinanti per il successo personale e professionale.

Numerose ricerche confermano che l’efficacia di un operatore – sia esso manager, tecnico o consulente – dipende sempre più dalla qualità delle sue capacità comportamentali. Tuttavia, la centralità attribuita alla digitalizzazione e all’IA sta relegando le soft skill a un ruolo marginale, ritenendole superflue o obsolete. È necessario invertire questa tendenza, recuperando il valore strategico delle capacità umane per affrontare in modo consapevole e sostenibile le sfide del mondo contemporaneo.

*Presidente della Time to Mind SA, azienda internazionale che gestisce la piattaforma plurilingue www.timetomind.global che offre assessment online e percorsi di sviluppo per valorizzare le soft skill strategiche

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