La nuova Nakba era già nel piano del futuro ministro israeliano Smotrich nel 2017: nulla a che fare col 7 ottobre

  • Postato il 15 maggio 2025
  • Blog
  • Di Il Fatto Quotidiano
  • 1 Visualizzazioni

Il 15 maggio 1948 Israele si proclama Stato e obbliga con la violenza e la distruzione un milione di palestinesi a lasciare le proprie case. L’anniversario della Nakba è una rievocazione storica: sfollamento forzato, demolizioni a tappeto, sterminio.

Il piano, spiega Netanyahu è ancora quello di allora: “Stiamo distruggendo quante più abitazioni possibili per fare in modo che non abbiano più case alle quali tornare”.

Dove non arrivano a distruggere le bombe e i bulldozer arriverà la fame, in quello che Medici Senza Frontiere descrive oggi come “un campo di sterminio”: “Non faremo entrare nemmeno un chicco di grano”, aveva promesso il ministro Bezalel Smotrich. Così è dal 2 marzo: dopo aver distrutto i campi coltivati, la rete idrica, bombardato l’80 per cento delle case e tutti i forni, il governo israeliano sta bloccando l’ingresso di cibo per lasciare che i palestinesi muoiano di fame. Molti bambini sono già morti per denutrizione e “il 93% dei bambini – dichiara l’Unicef – rischiano di fare la stessa fine nei prossimi giorni”.

Mentre l’Ue, Trump, il governo italiano assistono immobili, senza mettere in campo volenterosi o sanzioni e senza nemmeno interrompere la fornitura di armi e gli accordi militari, strategici e commerciali con Israele, il ministro Smotrich ha appena ribadito: “Israele non si fermerà finché i cittadini di Gaza non saranno sfollati e la Siria divisa”. Il parlamento israeliano ha infatti approvato il piano che prevede l’occupazione militare totale e definitiva di Gaza, lo sfollamento dell’intera popolazione dal Nord e dal Centro per concentrala a sud all’interno di aree recintate sorvegliate dall’esercito. Campi di concentramento all’interno dei quali le razioni di cibo verranno distribuite nelle dosi stabilite dai carcerieri.

Questo è il piano e non ha niente a che fare con la liberazione degli ostaggi (“Non è una priorità”, insiste a dire il ministro Smotrich alle famiglie dei rapiti) e non ha niente a che fare con la sicurezza di Israele: la sistematica distruzione di abitazioni civili, lo sfollamento forzato, le decine di migliaia di vittime civili – in maggioranza bambini e donne – produrranno come esito scontato un esercito di martiri. Migliaia di giovani che hanno visto morire i propri genitori, figli, fidanzate, amici sotto le macerie delle loro case e nelle tende dove erano sfollati non potranno che covare per sempre il desiderio di farsi giustizia infliggendo la stessa sofferenza a chi l’ha cagionata. Strano come risulti facile l’empatia con un gioielliere che insegue i rapinatori e spara e non con questi esseri umani ai quali è stata strappata via la famiglia, la casa, il campo da calcio, il lavoro, il pane, la scuola, la vita.

Tantomeno il piano ha qualcosa a che fare con il 7 ottobre.

L’idea che anche i palestinesi, come gli ebrei, possano avere un loro stato non è mai stata presa in considerazione dal governo israeliano: con o senza Hamas, con o senza ostaggi, con o senza garanzie di sicurezza internazionali, qualunque sia il confine. Ben prima del 7 ottobre, Bezalel Smotrich ha presentato il piano che precede e prepara “il piano riviera” di Trump.

Nel 2017, già parlamentare e vicepresidente della Knesset, Smotrich presentava al parlamento il “piano Speranza”, dove è scritto nero su bianco: “La contraddizione tra l’esistenza dello Stato ebraico e l’aspirazione nazionale palestinese è intrinseca; è insita nello sviluppo del concetto stesso di ‘popolo palestinese’. Il ‘popolo palestinese’ non è altro che un contromovimento del movimento sionista. Questa è la sua essenza, la sua ragion d’essere. Anche coloro che sostengono il diritto dei palestinesi all’autodeterminazione sanno che tale ‘nazione’ non esisteva prima del progetto sionista e che la Palestina non era altro che il nome geografico di questo lembo di territorio”.

Il piano prevedeva già allora una vittoria militare: “Questo piano non prevede alcuna definizione di un’entità nazionale araba in Terra d’Israele. È il solo piano che non intende consentire un collettivo arabo con ambizioni nazionali e, in quanto tale, è l’unico che si basa sulla vittoria del conflitto e non sul suo mantenimento a vari livelli di intensità. Soprattutto, è il solo che crede nella possibilità di realizzare il sogno della pace e della coesistenza, anziché disperare di quel sogno e sostituirlo con una separazione impossibile. È per chi osa sperare. Facciamolo diventare realtà”.

Il piano del 2017 parla dunque di “coesistenza”, pur spiegando in molti passaggi che la strategia è quella di spingere gli arabi a emigrare altrove: “Il rafforzamento di Israele e la vittoria nel conflitto renderanno più facile l’assorbimento degli immigrati, aumenteranno la crescita demografica ebraica e incoraggeranno parte della popolazione araba a emigrare in altri Paesi”.

Peccato però che solo un anno più tardi Smotrich abbia sostenuto la legge approvata dal parlamento israeliano che cancella quella possibilità di convivenza pacifica. Con quella legge, ben prima del 7 ottobre, Israele ha definitivamente accantonato la possibilità di essere uno stato laico e democratico dove convivere in pace e ha scelto di diventare lo stato nazionale dei soli ebrei, con gli altri (oltre il 20% della popolazione) trasformati in cittadini di serie B e privati degli stessi diritti. Non basta che si tengano le elezioni per definire tale una democrazia.

Il piano Smotrich del 2017 pone anche le basi teoriche della pulizia etnica, spiegando a più riprese che la necessità è quella di ridurre le nascite dei palestinesi e aumentare quelle degli ebrei per diventare preponderanti. Un intero capitolo è dedicato a quella che viene denominata “La sfida demografica”: “Con o senza il diritto di voto alla Knesset, il nostro piano e le realtà che saranno plasmate dalla sua attuazione, portano con sé una sfida demografica (…). L’area tra il fiume e il mare è un’unica unità geografica e topografica, e gli arabi non hanno intenzione di andare da nessuna parte, di certo, se le loro ambizioni nazionali vengono incoraggiate e coltivate (…). Qui non ci siamo soffermati sull’argomento, ma il nostro nuovo piano deve essere accompagnato da una serie di misure volte a migliorare il bilancio demografico”.

Un piano profetico: “Credo che entro pochi mesi, molti principi fondamentali di questo piano entreranno nel dibattito pubblico e diventeranno pietre angolari per nuovi modi di pensare. La comprensione che la moralità di un’azione dovrebbe essere giudicata nel contesto di altre opzioni disponibili e in una visione a lungo termine: tutto questo penetrerà nel discorso e nella coscienza del pubblico e lo arricchirà con nuovi e creativi modelli ancora da esplorare negli ultimi decenni. Sulla base di questi, sarà possibile adottare il nostro piano o piani simili basati sul controllo del conflitto e sulla comprensione che per raggiungere la pace e la coesistenza non possiamo lasciare una collettività araba con ambizioni nazionali nella Terra di Israele, qualunque siano le sue definizioni e i suoi confini”.

Peccato che il modello “nuovo e creativo” sia la la vecchia Nakba.

L'articolo La nuova Nakba era già nel piano del futuro ministro israeliano Smotrich nel 2017: nulla a che fare col 7 ottobre proviene da Il Fatto Quotidiano.

Autore
Il Fatto Quotidiano

Potrebbero anche piacerti