La regola più sporca del rapporto banca-cliente: se le cose vanno male, la soluzione è venderti qualcos’altro

  • Postato il 10 maggio 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Dopo settimane di turbolenza legate alla guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina, i mercati finanziari globali hanno mostrato segnali di forte recupero. L’indice S&P 500, il Nasdaq e Francoforte hanno azzerato le perdite accumulate in aprile. Anche Milano, pur con maggiore prudenza, ha contenuto i danni. Il messaggio che arriva dai listini è rassicurante: tutto torna nella norma. Ma per il risparmiatore comune, quello che investe con buon senso ma senza strumenti tecnici avanzati, la vera domanda non è se i mercati siano in ripresa. La vera domanda è: io sono davvero pronto ad affrontare ciò che succede quando non vanno come vorrei?

Molto spesso, il nodo centrale non è la scelta dello strumento finanziario, ma il comportamento dell’investitore. È infatti provato che la differenza tra chi ottiene buoni risultati e chi si ferma alle perdite non sta tanto nella strategia adottata, ma nella capacità di restare fedele al piano nei momenti difficili. Il punto è che l’autocontrollo, nei momenti di stress, è il bene più scarso e più prezioso. Quando i mercati scendono, la tentazione di scappare è forte. Ma chi esce nel panico quasi sempre rientra tardi, o non rientra affatto. E chi rincorre il momento giusto per investire — inseguendo notizie, grafici o il “sentito dire” — finisce per accumulare rimpianti più che rendimenti.

La verità è che il cosiddetto market timing — cioè la pretesa di entrare e uscire dal mercato con tempismo perfetto — è un’illusione. Nessuno, neppure il professionista più esperto, è in grado di farlo con regolarità. Eppure, molti risparmiatori si fanno influenzare da questo meccanismo, ritenendo di dover sempre “sfruttare l’occasione”. Ma spesso la vera opportunità non è cercare il momento perfetto per entrare o uscire, bensì mantenere il proprio investimento con coerenza rispetto all’orizzonte temporale previsto.

Quello che accade, invece, è che nei momenti più delicati il cliente si spaventa, disinveste e viene convinto a sostituire il vecchio prodotto con uno “più adatto alla nuova situazione”. È qui che entra in gioco un secondo rischio, più sottile ma altrettanto dannoso: quello della manipolazione commerciale.

Alcuni consulenti, di fronte a un cliente emotivamente scoperto, non perdono tempo: fiutano il panico come i cani da tartufo e si affrettano a proporre “soluzioni alternative”. Il vecchio prodotto? Superato. La nuova proposta? Più sicura, più adatta, più “di buon senso”. Peccato che, molto spesso, sia solo un rimpasto utile a generare nuove commissioni per chi consiglia, e nuova confusione per chi subisce. E se poi le cose vanno male — come spesso accade — parte il solito teatrino: la colpa è della guerra, del virus, dell’attacco alle Torri Gemelle o della farfalla che ha sbattuto le ali a Pechino. Insomma, tutto tranne che delle scelte fatte. Il consulente, come il mago dopo il trucco fallito, alza le mani: “Imponderabile!”. E intanto il cliente si ritrova ancora una volta seduto su un investimento sbagliato, convinto che la sfortuna sia una malattia contagiosa.

Così si entra in un ciclo vizioso: si cambia investimento troppo spesso, si pagano costi nascosti, si perde continuità nella strategia, si rinuncia ai benefici del lungo periodo. Il tutto per placare un disagio momentaneo che, con una profilatura fatta bene e un patto chiaro all’origine, sarebbe stato pienamente gestibile.

Ecco perché non basta sapere che i mercati sono saliti. Serve sapere se ciò che ho sottoscritto è coerente con chi sono, con quanto posso rischiare, con quanto tempo ho davanti. Serve che le decisioni siano figlie di un piano e non di una reazione. Serve che ogni risparmiatore si abitui a farsi le domande giuste prima che il mercato torni a fare paura.

Alla fine, ciò che davvero fa la differenza non è la curva di rendimento, ma la stabilità del comportamento. I mercati, come vediamo, cadono e si rialzano. Ma se l’investitore non ha controllo su se stesso, sarà costretto a inseguirli, perdendo lucidità e valore. Chi invece riesce a tenere la barra dritta, a non smontare tutto alla prima scossa, a fidarsi di un piano ben costruito, ottiene nel tempo ciò che tutti cercano: serenità, solidità e risultati.

Ed è proprio per questo che un buon esercizio, tanto semplice quanto efficace, consiste nello stabilire un confronto regolare con il proprio consulente. Non solo nei momenti critici, ma almeno ogni tre mesi. Chiedere aggiornamenti chiari, farsi spiegare in modo comprensibile la situazione dei propri investimenti, e — cosa tutt’altro che banale — pretendere una relazione scritta, con un linguaggio semplice e firmata, può ridare dignità al rapporto e aiutare a non perdere la testa quando tutto intorno sembra vacillare.
Il controllo sui mercati non ce l’ha nessuno. Ma il controllo su di sé può fare tutta la differenza del mondo.

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Il Fatto Quotidiano

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