La retorica dello “Stato palestinese” è una farsa: vale per Macron e ora anche per Schlein

  • Postato il 28 luglio 2025
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Il recente riconoscimento da parte di Emmanuel Macron dello Stato di Palestina è stato accolto da molti come un passo in avanti, ma, in realtà, secondo diversi analisti, giornalisti, ricercatori e attivisti palestinesi è un gesto vuoto, simbolico, utile più a placare l’indignazione globale che a smantellare l’ingiustizia in Palestina. Scrivono Ramzy Baroud e Muhammad Zulfikar Rakhmat su Middle East Monitor che dietro le dichiarazioni pubbliche e le formule diplomatiche, infatti, si cela un quadro di profonda ambiguità e complicità, che non sfida minimamente l’impianto coloniale israeliano, né la pulizia etnica, né il sistema di apartheid che da quasi un secolo priva i palestinesi dei più basilari diritti.

Macron propone uno “Stato palestinese” demilitarizzato, privo di sovranità effettiva, subordinato e costretto a convivere al fianco di Israele, senza però presentare nulla per rendere questo processo possibile e giusto. Nessuna richiesta di smantellamento delle colonie illegali, nessuna restituzione delle terre occupate, nessun accenno al diritto al ritorno, nessun impegno concreto per porre fine all’assedio di Gaza o per riconoscere il genocidio. Questo tipo di riconoscimento è descritto da Rakhmat come “un’etichetta diplomatica in cambio di sottomissione”: un tentativo di offrire una parvenza di Stato, mentre in realtà si congela l’occupazione. È una mossa che serve più a rassicurare l’Occidente e a disinnescare la pressione dell’opinione pubblica, che a liberare i palestinesi.

Ramzy Baroud è ancora più diretto: la Francia non ha alcuna credibilità quando parla di pace. Ha sostenuto incondizionatamente Israele e ha represso i movimenti pro-Palestina sul proprio territorio. Il riconoscimento di Macron non è un atto di coraggio politico, ma una mossa opportunista, pensata per evitare l’isolamento internazionale, mentre Israele si trova al centro di crescenti critiche e accuse da tutto il mondo. Macron continua a ribadire la centralità della “sicurezza israeliana”, anche mentre l’esercito israeliano cancella la vita a Gaza, affama civili e disumanizza i palestinesi. In questo contesto, parlare di uno “Stato palestinese” senza affrontare il nodo dell’occupazione equivale a legittimarla.

Ed Elly Schlein, che si è accodata al riconoscimento dello Stato di Palestina, si inserisce in questa ipocrita retorica. Come dice nell’ultima intervista su Repubblica, lei crede di avere diritto di decidere chi deve governare Gaza, senza mai riconoscere il diritto dei palestinesi a scegliere autonomamente i propri rappresentanti. Le sue dichiarazioni sul “favorire il processo di pace” sono vuote, perché non affrontano le cause strutturali del genocidio: occupazione, colonialismo, blocchi, apartheid, e sistematica negazione dei diritti basilari.

Non si tratta solo di “riconoscere” uno Stato: si tratta di porre fine a un regime che attua da sempre una pulizia etnica, di smantellare le colonie, di garantire il diritto al ritorno, la libertà di movimento, l’autodeterminazione vera. Inoltre, continua con questo razzismo che sottende la richiesta di liberazione degli ostaggi israeliani senza mai menzionare la liberazione dei 10mila ostaggi palestinesi nelle carceri israeliane. Nella sua logica, i palestinesi continuano ad essere sacrificabili e devono sacrificarsi per ottenere uno pseudo-stato, governato da un’autorità che piace a lei.

I palestinesi concordano tutti sul fatto che la cosiddetta soluzione dei “due Stati”, così come proposta oggi, è una trappola diplomatica. Non rappresenta un percorso verso la liberazione, ma un modo per stabilizzare lo status quo. Parlare di Palestina senza riconoscere la realtà di Gaza sotto assedio, della Cisgiordania frammentata e delle comunità palestinesi sottoposte a pulizia etnica, significa accettare, e in fondo difendere, tutto ciò che ha portato al genocidio in corso.

La creazione di uno “Stato palestinese” privo di esercito, privo di controllo delle frontiere, senza continuità territoriale, ridotto a entità amministrativa sotto supervisione internazionale, è una farsa. È, letteralmente, una prigione a cielo aperto con una bandiera.

Questa retorica sul riconoscimento dello Stato di Palestina ha stufato i palestinesi perché non rappresenta una vera rottura con la complicità occidentale. Al contrario, serve a rafforzarla con nuovi strumenti di legittimazione diplomatica. Sono gesti che danno l’illusione del cambiamento mentre perpetuano l’ingiustizia.

Finché non si affronteranno con chiarezza morale e politica i nodi centrali – fine dell’occupazione, smantellamento delle colonie, fine dell’assedio, dell’occupazione, riconoscimento internazionale del genocidio e piena sovranità – ogni dichiarazione sarà solo una copertura per la continuazione del genocidio. E ogni riconoscimento, se disancorato dalla realtà, sarà solo un’altra pagina nel lungo capitolo dell’ipocrisia occidentale.

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Il Fatto Quotidiano

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