La sanità e la vita spezzata di Isabel. Un grido contro la rassegnazione

  • Postato il 11 ottobre 2025
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La sanità e la vita spezzata di Isabel. Un grido contro la rassegnazione

Dopo la morte della sedicenne Isabel Desireè Porco, il commento di Caterina Perri, Fondatrice di “Antigone – Siamo tutti Serafino”, sulle condizioni della sanità in Calabria


Siamo sul finire di settembre, apprendo una notizia struggente; è morta Isabel Desireè Porco, avrà 16 anni per sempre.
Cerco elementi sul web, sento di dover indagare sulla sua storia. Mi appare subito una sua foto. Isabel Desireè è una ragazza prorompente, forte, dal viso avvenente. È morta il 18 settembre, ma nonostante io sia attenta alla cronaca sanitaria, lo apprendo dopo giorni. Temo che, forse, la collettività, noi tutti, corriamo il rischio di un appiattimento; che queste tragedie diventino normalità.
Per questo approfondisco la vicenda e apprendo che di Isabel Desireè i giornali hanno parlato. La ragazza si sente male, ha gambe e braccia bloccate. Si trova nella sua scuola a Rende, la raggiunge sua sorella.

Penso, almeno Isabel Desireè non era da sola in quell’insopportabile frangente. La mia mente è incline ai voli pindarici e al suo divagare mi porta a sentire cosa possa significare, in un momento tragico, avere tua sorella affianco. Lo comprendo bene, sono una sorella anch’io, ma mia sorella è in America … e, parafrasando una celebre canzone di Lucio Dalla si sà che “…l’America è lontana, dall’altra parte della luna…” eh sì, perché vivere in Calabria può vuol dire anche questo, sopportare il peso della lontananza dalle dagli affetti profondi che hanno deciso di lasciare una terra natìa dove era sconveniente restare.

Torno presto all’obiettivo di questo mio mattino, conoscere il caso di Isabel Desireè. Leggo le dichiarazioni rilasciate sui social dalla sorella, vorrei sapere come si chiama, esprimerle la mia vicinanza in un momento di così acuto dolore. Ricostruire la vicenda, mi sembra un modo per darle attenzione. Isabel Desireè era affetta da MAV (Malformazione Altero Venosa ) congenita, ma la diagnosi arriva tardi. Un’ambulanza priva di medico a bordo, trasporta Isabel Desireè dalla sua scuola di Rende all’Ospedale di Cosenza. Durante il tragitto, la sorella le soregge la testa. Isabel Desireè vomita ininterrottamente. Gli operatori sanitari sono tranquilli, per loro è solo un attacco di panico; così, la ragazza fa ingresso al pronto soccorso di Cosenza in Codice Giallo.

Le ore trascorrono lente, inesorabili, non si capisce perché Isabel Desireè continui a stare tanto male. I medici comunicano ai familiari probabili crisi epilettiche in corso, ma l’elettroencefalogramma, eseguito, per altro, non nell’imminenza, li smentisce. Finalmente arriva la TAC, l’esito non lascia scampo: è in corso un’emorragia cerebrale. La ragazza è grave. Non c’è da aspettare. Bisogna intervenire d’urgenza, ma l’unica cosa di tempestivo che si riesce a fare è disporne il trasferimento da Cosenza a Roma. Per Isabel Desireè però è già tardi, quando arriva al Policlinico Gemelli.

Da genitore, da madre, avverto un sussulto, un senso di giustizia sociale da rivendicare… Desireè ha una manciata di anni in più della mia figlia più grande. L’assenza di sanità ha privato le mie figlie del loro giovane padre, a Isabel Desireè ha tolto la sua giovane vita piena di progetti per il futuro e di speranze ormai rese vane.
Io non ci sto a vivere nella rassegnazione; è giunto il momento di lottare. Nascere e scegliere di vivere in Calabria, non può più significare fare la differenza tra la vita e la morte. I residenti in Calabria, meritano le stesse chances di vita di chi abita in regioni sanitariamente virtuose: siamo un’Italia Unita.

Questo desiderio di cambiamento mi fa pensare: perché Isabel Desireè è stata trasferita da Cosenza a Roma se si trovava già in una struttura configurata come ospedale HUB? Come sono messi, in Calabria, i reparti di Pediatria? La risposta la rinvengo in un intervento di Marziale, Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza per la Regione Calabria , sulle terapie intensive pediatriche. Cosenza ha una struttura ospedaliera dotata di terapia intensiva pediatrica, ma nella forma semplice. Apprendo inoltre che è sin dai tempi del commissario ad acta alla Sanità Scura, inviato dall’allora governo centrale, che si attende, in Calabria, una terapia intensiva pediatrica Complessa, ma con previsione soltanto a Catanzaro.

Io voglio guardare avanti, ma senza dimenticare chi ha avuto la sfortuna di vedersi negare possibilità di vivere solo perché si trovava in questa nostra bellissima, ma segnata regione. E mi chiedo: su cosa lavorare all’indomani delle elezioni amministrative regionali? Quali proposte avanzare sulla sanità ? Posto che il 75% della Spesa pubblica è destinato proprio alla Sanità. Da dove partire perché si possa dire che è stato fatto qualcosa?

Intanto, alla luce di quanto accaduto, quello che i cittadini dovrebbero aspettarsi è il concretizzarsi di proposte atte a dotare le pediatrie di tutti gli HUB calabresi di Terapie Intensive Pediatriche Complesse. La gestione del solo trasporto del paziente, non è evidentemente sempre sufficiente a salvare una vita in condizioni di emergenza. Che le tragedie non cadano nell’oblio, ma siano da monito per migliorare.
Sì parla tanto di “strumentalizzare”. Credo il termine strumentalizzazione sia stato più che abusato in questa campagna elettorale. Ma cosa è strumentalizzare nell’accezione negativa, se non rendere qualcosa strumento per raggiungere un fine non genuino?

A questo punto, mi chiedo: non parlare di persone vittime di malasanità, non citarne mai il nome, non è forse il modo per renderle strumento di una situazione su cui si vuole tergiversare e che non si vuole incisivamente affrontare? Il problema dell’assenza di Sanità è grave; perché è vero, siamo nel 2025, ma in Calabria è di questo che ancora si continua a morire.

Cerco di fare squadra, scrivo al papà di Isabel Desireè: Marcello, vigile del fuoco, mi lascia il suo numero di telefono; lo richiamo: è una conversazione dolorosa, parla di Ida, l’altra sua figlia e della voglia di andare avanti per i due figli e la moglie di cui dovrà occuparsi. La famiglia Porco guarda al futuro, alle generazioni che verranno, sono stati concordi nel disporre la donazione degli organi. Anche per loro c’è il mio stesso desiderio dopo la morte di Serafino: partire verso altri luoghi.
Il punto è siamo noi a dover andare via o a dover restare per far sì che nella realtà incidano quei cambiamenti che renderebbero questa Regione un posto capace di garantire una Vita degna di essere vissuta?

* Fondatrice di “Antigone – Siamo tutti Serafino”

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