L’Australia riconferma il premier laburista Albanese: per molti, una conseguenza dell’effetto Trump

  • Postato il 5 maggio 2025
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Il successo schiacciante del Labour Party nelle elezioni federali australiane di sabato scorso, con – a conteggi ancora aperti nel momento in cui scrivo – 86 seggi parlamentari vinti su un totale di 137 seggi assegnati e 13 ancora da assegnare, è stato interpretato da molti come una conseguenza dell’effetto Trump. Dopo i primi schizofrenici mesi dell’amministrazione americana, molti reputano che i conservatori australiani si siano spaventati del fatto che il candidato liberale Peter Dutton potesse seguire le orme di Mr. Donald, e hanno alla fine deciso di virare verso un candidato indipendente oppure, obtorto collo, persino votare il Labour Party. Ipotesi che ha sicuramente una sua legittimità, ma che secondo me non centra a pieno le ragioni di una vittoria della sinistra così clamorosa e fragorosa.

Il Labour Party ha governato negli ultimi tre anni sotto la guida del Primo Ministro Anthony Albanese, tanto caro a noi italiani visto che suo padre Carlo – che Albanese ha conosciuto solamente all’età di 46 anni – è originario di Barletta. Per tre anni abbiamo avuto un governo che ha fatto cose buone e meno buone, ma che non si è mai trovato invischiato in scandali, litigi fratricidi, casini internazionali o decisioni folli. Hanno veleggiato per tre anni senza disturbare troppo, amministrando la nazione in maniera saggia e solida, senza memorabili colpi di genio ma anche senza commettere errori imperdonabili.

Albanese è una persona perbene, estremamente gentile ed umana, che fa della mancanza di aggressività un tratto distintivo della sua personalità, di cui va molto orgoglioso. Ora, se volete passare un’ora di pura adrenalina, ho altri indirizzi da consigliarvi. Recentemente è stato ospite del fortunatissimo podcast “Leading”, condotto da Alastair Campbell e Rory Stewart; me lo sono ascoltato durante una lunga passeggiata sulla spiaggia e confesso di aver fatto fatica a rimanere sveglio, pur essendo solo le 6 di sera. Per fare un paragone coi politici di casa nostra, lo potremmo paragonare ad una sorta di Romano Prodi nella più riuscita imitazione di Corrado Guzzanti.

E proprio qui sta il punto, a mio parere. L’Australia, che è una democrazia moderna e civile dove i concetti di fairness e sobrietà regnano sovrani, non ha bisogno di leader carismatici. Le persone desiderano un condottiero capace, onesto e che disturbi il meno possibile lo scorrere della vita quotidiana: una sorta di buon amministratore di condominio, cui ogni anno paghiamo le spese condominiali (sotto forma di tasse) e che poi pensa a fare andare avanti la baracca senza convocare assemblee straordinarie ogni due settimane.

Tutto questo assordante rumore che ci circonda, con leaders internazionali megalomani, bulli e perfidi, è purtroppo figlio della narrativa dominante degli ultimi 15 anni, che ha messo la ricerca dell’uomo forte e carismatico al centro del villaggio. Nella letteratura organizzativa prevalente, i testi sulla leadership hanno soppiantato quei buoni vecchi manuali di management che insegnavano a tutti noi come gestire organizzazioni con il fine ultimo di aggregare valore per l’organizzazione stessa, e non per aumentare la propria visibilità. Tanti executives oggigiorno si lamentano di come le giovani leve vogliano solo condurre mentre nessuno ha più voglia di gestire.

Albanese è molto diverso da tale modello: è un ottimo giocatore di squadra, sa ascoltare, non ha bisogno di visibilità ed elogi per se stesso. Ha la postura e l’attitudine del vero e proprio “civil servant”, il cui fine primario è la gestione della res publica. Poi si può essere d’accordo o meno con le decisioni del suo governo, ci mancherebbe. Ma mi piace pensare che il popolo australiano, dopo un primo mandato in cui Albanese ci ha garantito tranquillità e solidità, abbia voluto conferirgli un mandato ancora più ampio e forte, riconoscendogli indubitabili doti di buon gestore e distanziandosi dal modello del leader carismatico e ispiratore che tanti danni ha fatto, nel passato e nel presente, in varie democrazie occidentali, inclusa l’Italia durante il periodo craxiano/berlusconiano.

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Il Fatto Quotidiano

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