Le Nba Finals 2025 mi fanno vedere basket ovunque, anche nelle ossessioni di Cechov

  • Postato il 4 giugno 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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di Marco Pozzi

In questo periodo di NBA Finals (prima partita, Pacers-Thunder, sarà nella notte fra giovedì 5 e venerdì 6) si vede il basket ovunque. Capita d’essere a teatro e si pensi come in un palasport.

“Vi sono delle idee ossessive: quando uno, ad esempio, pensa sempre, di notte e di giorno, alla luna, e anch’io ho una mia simile luna. Giorno e notte mi affligge un solo pensiero molesto: io devo scrivere, io devo scrivere, io devo… Ho appena finita una novella, che subito, non so perché, devo scriverne un’altra, e poi una terza, e dopo al terza una quarta… Scrivo senza interruzione, come cambiando i cavalli alle stazioni di posta, e non posso altrimenti. Io le domando: che ci trova di bello e di luminoso? O che vita assurda! Sto qui con lei, mi agito, e intanto a ogni istante ricordo che mi aspetta una novella incompiuta”. Che Čechov scrivesse di Kobe Bryant è una notizia.

“Quando finisco un lavoro, corro a teatro o a pescare; potrei riposarmi, dimenticare, e invece nella mia testa già rotola una pesante palla di ghisa – un nuovo soggetto, e già mi attira il mio tavolino, e bisogna affrettarsi daccapo a scrivere e scrivere. E così sempre, sempre, e non ho pace da me stesso, e sento che sto consumando la mia esistenza, e che, per dare del miele a qualcuno nello spazio, io rubo il polline ai miei fiori migliori, li strappo e ne calpesto le radici? Non sono pazzo? I parenti e gli amici mi trattano come uno sano? ‘Che sta scrivendo? Che ci prepara di bello?’ Sempre lo stesso, lo stesso, e mi pare che le premure dei conoscenti, le lodi, l’ammirazione: tutto questo sia inganno, che mi ingannino come un malato, e temo talvolta che qualcuno si appressi quattro quatto alle mie spalle, per afferrarmi e portarmi al manicomio”.

Chi parla è Borìs Aleksèevič Trigòrin, scrittore, personaggio nel Gabbiano di Anton Čechov (atto secondo, traduzione di Angelo Maria Ripellino), che spiega quale forza dentro di sé lo spinga a creare, assorbendogli ogni energia mentale per raggiungere l’obiettivo, il quale, una volta raggiunto, non lascia felicità ma solo ossessione a ricominciare daccapo. C’è molto di simile alla vita di uno sportivo, che si allena tiro dopo tiro, salto dopo salto, vasca dopo vasca, perfezionando ogni movimento, cercando il movimento giusto come lo scrittore cerca l’aggettivo giusto; e dopo ore di allenamento, la competizione, partita dopo partita, set dopo set, gara dopo gara, minuti, secondi, time-out, cronometri, per una stagione intera, e poi un’altra stagione, e poi un’altra.

Trigòrin se ne andrà dalla tenuta e vivrà con Nina, per poi tornare, ripetendo i medesimi gesti, forse più svuotati, logorati dal tempo ‒ “ho fretta di terminare una novella, e poi ho anche promesso di dare qualcosa a un almanacco. Insomma, la vecchia storia” (atto quarto) ‒ e anche lo sportivo professionista dovrà misurarsi con la ripetitività del gesto, in perenne oscillare fra abitudine e ossessione, fra lavoro e passione, fra monotonia e adrenalina.

Ci vuole allenamento anche per allenare l’ossessione. Raggiungere la piena consapevolezza è forse il grado massimo, il controllo di ciò che si sta facendo, il sentirsi a fuoco, nel posto giusto, in ritmo, perfettamente. Nel basket la parola ‘ossessione’ è spesso associata al nome di Kobe Bryant, giocatore che si è costruito con un lavoro enorme su di sé, nel corpo e nella mente. Dopo il ritiro e prima della morte, soprattutto, si è dedicato al racconto della sua esperienza di sportivo, quell’approccio al lavoro assoluto che ha sempre trasmesso un’inquietudine di fondo, come ci fosse sempre qualcosa di “incompiuto”, un insopprimibile “non ho pace da me stesso”. Forse anche una malinconia, che stona con l’immagine idealizzata di “campione” tanto adorata dai tifosi.

Dietro ai consigli motivazionali talvolta sembra d’intravvedere la risposta Trigòrin a chi gli commentava “La sua vita è bellissima!”, così diversa da quelle banali e noiose che devono vivere tutti: “Ma che ci trova di particolarmente bello?”. Forse anche Kobe Bryant avrebbe preferito andare a pesca, come nella società di Trigòrin, o al suo terapeuta forse avrebbe confessato che in realtà avrebbe voluto lavorare da impiegato, o qualunque lavoro semplice e ripetitivo, del tutto senza stress. Forse il vero Kobe – vero per lui stesso – sarebbe emerso dopo il ritiro. Chissà…

Intanto, buone Finals a tutti!

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Il Fatto Quotidiano

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