L’Iran è una distrazione: media e personaggi pubblici israeliani chiamano apertamente al genocidio
- Postato il 19 giugno 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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“Queste persone lì (a Gaza) meritano la morte. Una morte dura, una morte straziante. Avremmo dovuto vedere molta più vendetta, molti più fiumi di sangue” afferma Yehuda Shlezinger, giornalista.
L’opinione pubblica israeliana incita al genocidio di un “gruppo inutile”, mentre quella occidentale tace. In questi giorno, “per coprire (il genocidio) che non è più possibile nascondere, Israele (…) ha attaccato l’Iran” – così Paola Caridi, ripresa anche da Repubblica. Una guerra di dimensioni spaventose è possibile, certo, ma il focus resta Gaza.
Premessa. Esperti di genocidio e giuristi di quasi tutto il mondo concordano: è genocidio. Così il Lemkin Institute For Genocide Prevention (qui la definizione giuridica): “Il genocidio di Israele contro i palestinesi comporta l’omicidio pianificato e del tutto intenzionale e lo sfollamento forzato di tutti i palestinesi dalle loro case ancestrali (…), con tutti i mezzi disponibili.” Intenzionalità, la parola chiave. Per il Lemkin (nome del giurista che coniò il termine) l’uso di “omicidio di massa” è un errore dei media occidentali: nasconde la volontà di eliminare un popolo in quanto tale.
Le dichiarazioni genocidarie note del governo israeliano sono poche. Meno quelle di media, religiosi, parlamentari, soldati, personaggi pubblici, politici. Ecco un breve estratto (database: Law4Palestine, più di 400 citazioni) di cosa dicono giornalisti e altre figure della comunicazione popolari in Israele.
“Non esistono civili non coinvolti”
Il ministro Amichai Eliyahu dichiarò che “dobbiamo trovare modi che siano più dolorosi della morte per i cittadini di Gaza”. Guadagnò un titolo sulla sua valutazione dell’uso dell’atomica. Shimon Rikli, giornalista: “Perché esattamente abbiamo l’atomica?”, mentre per Naveh Dromi “i palestinesi sono un gruppo inutile”; Erel Segal gli fa eco: “[…] non dovremmo solo uccidere Hamas, ma eliminare ‘tutti i giocatori’”. E Yinon Magal: “I civili non sono ‘puliti’, la nostra vendetta è su di loro.” Un’intenzione trasversale in politica per Yotam Zimri: “[…] la nostra guerra non è contro Hamas, ma contro i palestinesi (…)”. E sempre Rikli sostiene che “(…) questa è un’occasione per (conquistare) tutta Gaza, perché accontentarci di [distruggere solo] Hamas?”. Per Yehuda Shlezinger: “Questa [immagine di un quartiere distrutto] è come dovrebbe apparire tutta Gaza, tutta Gaza”. Similmente Noam Fathi: “Quando vediamo le immagini di edifici bombardati (a Gaza) e cadaveri, dico: chi se ne frega?” Anzi:“[l’attacco] deve essere molto più forte”: nessun israeliano dovrebbe avere pietà per “questi abitanti di Gaza”.
“Bello ballare, mentre a Gaza soffrono”
“Un sabato di lacrime di gioia” per Ishay Cohen, giornalista, l’8 giugno 2024, quando le Idf uccisero più palestinesi del solito. E se per Yinon Magal “C’è una giustizia poetica in una festa in trance che blocca gli aiuti umanitari a Gaza”, Tomer Kamerling dice “Chi viene a ballare a Gaza? Gaza scomparirà e io ballerò lì come non ho mai ballato prima.” Eytan Weinstein, popolare podcaster, afferma che “Se mi dessi un pulsante per cancellare Gaza, ogni singolo essere vivente a Gaza non esisterebbe più domani. Lo premerei in un secondo.” Lo dice a Naor Meningher (5 campagne per Netanyahu), che gli racconta: “Ieri siamo andati a un concerto, ci siamo divertiti un sacco, io e la mia ragazza […] è bello sapere che stai ballando a un concerto e centinaia di migliaia di abitanti di Gaza sono senza casa seduti in una tenda”.
“Le nostre vite valgono di più”
Roy Sharon ‘precisa’: “(…) ho detto che se, per eliminare una volta per tutte le capacità militari di Hamas (…), abbiamo bisogno di un milione di corpi, allora che ci siano un milione di corpi”. Non è il solo, e Ishay Cohen esplicita l’assunto di fondo di questa logica: “Anche mille palestinesi morti non valgono la vita di uno dei nostri rapiti”.
Disumanizzazione
I bambini palestinesi, terroristi a 5 anni, riferisce la giornalista Ayala Hasson: “Se hanno 4 anni ‘sono bambini’ e non li puoi far morire di fame, non c’è niente da fare”. Mentre per Kamerling “Non ci sono cittadini comuni a Gaza”. E non ci sono donne: “Ogni donna è un mostro”. E poiché Dana Varon è convinto che non abbiamo “a che fare con esseri umani normali” allora “(…) Spazzare via, uccidere, distruggere, distruggere”.
“Dovevamo uccidere di più”
“La prima notte avremmo dovuto eliminare 50.000 abitanti di Gaza, per vendetta”, spiega Eliyahu Yossian e così Zvi Yehezkeli: “L’esercito israeliano avrebbe dovuto uccidere 100.000 palestinesi all’inizio della guerra.” “Non importa chi sia o meno coinvolto con Hamas (…)”.
“Sappiamo prima chi uccidiamo”
Yehezkeli ammette che gli omicidi sono premeditati: “(…) Per esempio, oggi c’era un obiettivo: la famiglia di un giornalista di Al Jazeera. In generale, lo sappiamo.” Il ‘target’ era Wael Dahdouh, corrispondente di Al Jazeera, di cui sono stati assassinati la moglie e due figli.
“Gaza, sei una troia”
Lior Narkis, popolare cantante israeliano, grida dal palco: “Gaza, sei una troia. Gaza, sei figlia di una troia enorme come tua madre”, mentre i soldati esultano. Per Narkis gli israeliani dovrebbero “entrare a Gaza e massacrarli vivi (…) Sono disposto a entrarci adesso”.
Chiamata al genocidio, alcuni precedenti
E’ il 2014. Ayelet Shaked (politica di Casa ebraica), condivide su Facebook un testo di Uri Elitzur, per lei “rilevante oggi come lo era allora” (Lasciare). E’ una chiamata al genocidio perché dichiara che “l’intero popolo palestinese è il nemico” e ne giustifica la distruzione, “compresi i suoi anziani e le sue donne, le sue città e i suoi villaggi, le sue proprietà e le sue infrastrutture”. E incita al massacro delle madri palestinesi: “(…) Altrimenti, altri piccoli serpenti saranno allevati lì”. Grande successo social. Il mainstream occidentale grida allo scandalo, poi lo ‘disinnesca’ (Nyt). Dal 2015 al 2019 Shaked sarà ministra della Giustizia. Dal 2020 al 2022 ministra dell’Interno.
“Margine Protettivo” fu già genocidio?
Sempre nel 2014 iniziava “Margine Protettivo” (Amedeo Rossi mostra su questo le collusioni tra propaganda israeliana e La Stampa). Di quell’aggressione il Tribunale Russell sottolineava “il potenziale di un regime di persecuzione che può diventare di fatto genocida” e prove che “tale incitamento (razzista, nda) si è manifestato a molti livelli della società israeliana, sia sui social media che su quelli tradizionali, da tifosi di calcio, agenti di polizia, commentatori dei media, leader religiosi, legislatori e ministri del governo”. Fatti che rafforzano l’idea di molti studiosi che quello in corso sia un’accelerazione violentissima di quel ‘genocidio al rallentatore’ iniziato decenni fa.
Le responsabilità dei media
Per Craig Mortimer i media occidentali vanno “processati” – almeno sul piano etico – per la propaganda a Israele. E dedica loro parole di Navi Pillay (quando fu Procuratore del Tribunale penale internazionale per il Ruanda, rivolte a personalità mediatiche ruandesi): “Eravate pienamente consapevoli del potere delle parole (…) Senza armi da fuoco, machete o altre armi fisiche, avete causato la morte di migliaia di civili innocenti”. E ancora: “Il potere dei media di creare e distruggere valori umani fondamentali comporta una grande responsabilità. Chi controlla tali media è responsabile delle loro conseguenze”. Tale responsabilità è oggi viva nella società civile, certo non tra i media mainstream che hanno la pretesa di rappresentarla.
Le persone che si sono lasciate traumatizzare dal flusso di immagini inguardabili che viene da Gaza – esse stesse la narrativa – ha ben chiaro che la verbosità illimitata con cui alcuni ‘opinionisti’ provano a ‘complessificare’ un bambino amputato senza anestesia o uno morente tra le braccia della madre per una fame organizzata (non?) si rende conto del fondato disgusto che provocano in chi è costretto ad ascoltarli.
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