Lucia Regna: la sostanza della sentenza dice che la vera colpevole è lei. Ma è sua la faccia rotta dal marito

  • Postato il 13 settembre 2025
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Il film Angeli d’acciaio, diretto da Katja Von Garnier e uscito nel 2004, racconta la dura lotta delle femministe suffragiste negli Stati Uniti per il diritto di voto alle donne, ottenuto da Alicia Paul e le sue determinate compagne nel 1920. Il racconto di quella lotta è segnato da un punto cruciale: la maggioranza degli uomini (e molte donne) pensa che quel diritto venga molto, molto dopo altre questioni.

Prima del problema del voto femminile c’è ben altro. Le femministe dell’epoca furono derise, accusate di reati gravi (come vilipendio della bandiera e tradimento) perché anteponevano una quisquilia come il non poter votare alle emergenze della nazione: per questo furono incarcerate e sottoposte a torture. Volevo solo votare, come facevano gli uomini.

Oggi chiamiamo questa pratica, che antepone qualunque altra ‘emergenza’ alle rivendicazioni delle donne, ‘benaltrismo’, e proprio di ciò parliamo quando leggiamo le motivazioni che hanno portato tre giudici, un uomo e due donne, a sentenziare che no, non si tratta di maltrattamento e abuso se il marito ti sferra un pugno sul volto causandoti la rottura dell’orbita con un indebolimento della vista. Qui il bene supremo e il diritto inalienabile è il matrimonio, e la donna lo ha messo in pericolo. Come quelle che volevano il voto e distraevano la nazione impegnata in altro di più importante.

Qui, nel 2025 in Italia, la sentenza ha detto che la vera colpevole è la moglie, anche se sua è la faccia rotta dal pugno del marito. “L’amarezza per la dissoluzione della comunità domestica era umanamente comprensibile” è la frase contenuta nella sentenza, a giustificare gli insulti e l’aggressione del marito.

La sentenza del tribunale di Torino su fatti accaduti nel 2022 ha escluso i maltrattamenti e riconosciuto solo le lesioni personali. I tre giudici hanno messo nero su bianco che è la salvaguardia della serenità del nucleo famigliare il bene più importante, e che se una donna lo mette in discussione, se una donna vuole mettere fine al matrimonio, beh allora fa qualcosa di molto brutto e, se ci sono delle conseguenze come un pugno in faccia, queste sono da mettere in conto. Sinteticamente se l’è cercata: l’aggressione, gli insulti (davanti ai figli della coppia che ne hanno reso testimonianza), sono ‘umanamente comprensibili’.

Questa umanità che comprende, incarnata qui dai tre giudici, è quella che fiancheggia gli abusi degli uomini sulle donne perché considera, evidentemente, che il dolore degli uomini per la fine di una relazione valga di più di quello delle donne che vogliono andarsene da relazioni che per loro non hanno più senso.

La cultura misogina e violenta verso le donne, lo scriviamo in molte da decenni, ha radici potenti, e non importa se si hanno molte lauree e ruoli sociali che dovrebbero rendere capaci di guardare con occhi diversi da quelli dei vari fondamentalisti religiosi: del resto, in Italia, solo nel 1956 la Corte di Cassazione elimina lo ius corrigendi da parte del marito/padre/fratello sulle congiunte; solo nel 1969 la Corte Costituzionale dichiara incostituzionale l’articolo 559 del Codice Penale, che puniva l’adulterio della moglie e non quello del marito; solo nel 1975 la riforma del diritto di famiglia introduce un modello di famiglia paritaria, sostituendo la precedente struttura gerarchica dove il padre/marito era padrone; solo nel 1981 viene abrogata la rilevanza penale della ‘causa d’onore’ considerando il delitto d’onore una attenuante al femminicidio e, infine, solo nel 1996 viene introdotta la legge n. 66 contro la violenza sessuale, che trasforma lo stupro da reato contro la morale a reato contro la persona.

Una manciata di decenni di leggi giuste, ottenute con tenacia e pazienza dal movimento delle donne nel segno della fragile uguaglianza tra donne e uomini, non sono evidentemente sufficienti a garantire che, nella realtà così come nel giudizio istituzionale, la violenza dentro alle relazioni sia ritenuta un tabù e sanzionata senza eccezione.

L’avvocata della donna ha denunciato la sproporzione della decisione come queste parole: ”Una sentenza che ridimensiona le violenze subite e mortifica la vittima, mentre concede indulgenza a chi l’ha ridotta così”.

La commissione parlamentare d’inchiesta sul femminicidio ha richiesto gli atti del procedimento, un barlume di speranza per fare chiarezza e dare conforto a chi continua a pensare che le donne sono nel giusto a denunciare ma non possono essere umiliate quando esercitano i loro diritti.

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Il Fatto Quotidiano

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