Meloni vuole un’Italia ‘potenza turistica’ e ponte tra Usa e Ue: così resta confinata alla subalternità

  • Postato il 19 maggio 2025
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di Giulio Di Donato

Due immagini recenti dicono più di mille analisi sulla linea politica del governo Meloni.

Da un lato, Giorgia Meloni che presenta l’Italia come una “potenza turistica”: un Paese ridotto a cartolina, vetrina senz’anima, costantemente saccheggiata, da mettere a disposizione di orde di turisti famelici. Un’Italia proiettata nel passato, priva di progettualità e vitalità propria. Dall’altro, la vediamo seduta tra J.D. Vance e Ursula von der Leyen, nel ruolo di tramite e paciere tra due anime dell’Occidente in tensione. Una scena che non segnala alcuna iniziativa autonoma, ma piuttosto la conferma di una perenne subalternità e passività. Un’immagine che rivela la sostanza: la continuità di fondo del governo Meloni nei principali orientamenti di politica economica e politica estera.

Un’opposizione degna di questo nome – oggi assente o residuale – dovrebbe costruire la propria proposta proprio su questo terreno: quello dell’interesse nazionale. Un interesse che il governo proclama, ma che nei fatti appare ristretto, subalterno, privo di visione e respiro.

Cara Giorgia, non ci basta – e ci interessa relativamente – un’Italia trainata dal turismo. Vogliamo molto di più.

Abbiamo un’idea più alta del nostro Paese: un’Italia che torni a essere protagonista a livello di sviluppo industriale, culturale, sociale. Che investa in ricerca e innovazione, che rilanci un welfare moderno e inclusivo, che ritrovi in se stessa le risorse per una nuova vitalità politica e spirituale, nel segno di un rinnovato protagonismo popolare. Un’Italia capace di riattivare una dialettica oggi spenta tra cultura alta ed esperienze di vita popolare, da promuovere in ogni ambito della sfera pubblica.

La foto con Vance e von der Leyen lo ha reso ancora più evidente: al tuo governo non interessa cogliere le opportunità della nuova fase geopolitica. Al contrario, ti limiti a rincollare i cocci di legami logori, che invece andrebbero superati. Anziché contribuire alla costruzione di nuovi assetti geopolitici e geoeconomici, ti affanni a richiamare l’Occidente in crisi alle ragioni di una maggiore unità e continuità su tutti i fronti. Nel frattempo, tenti di riportare l’amministrazione americana sulle posizioni più oltranziste dell’Ue nei confronti della Russia. E segui entrambi nell’indifferenza verso la tragedia del popolo palestinese. Il tutto nel tentativo di ricompattare strenuamente l’asse euro-atlantico, anche rilanciando una logica ostile verso Russia e Cina.

Di fronte all’erosione delle relazioni tradizionali tra Europa e Stati Uniti, ti muovi insomma in difesa, cercando di ricomporre un equilibrio ormai perduto… ma seguendo una traiettoria sbagliata. Invece di interrogarti sul mondo che cambia, riproponi quindi vecchie abitudini e logiche superate, con lo sguardo fisso sul passato.

Credo invece che serva una direzione completamente diversa. Comprendo la complessità della fase e le difficoltà per le tante resistenze interne, collocate ovunque, anche ai vertici massimi del nostro Paese, ma è questo il momento per agire con intelligenza ai margini della disarticolazione degli equilibri degli ultimi decenni, dove possono nascere nuove e più promettenti configurazioni geopolitiche e geoeconomiche. Al tuo governo, però, non interessa sfruttare fino in fondo questa situazione di smottamento per riaffermare una via relativamente autonoma dopo decenni di fedeltà assoluta al vincolo esterno euro-atlantista e liberal-capitalista, se non in maniera propagandistica e opportunistica, o facendo affidamento su iniziative di corto respiro, su diplomatismi sterili.

Eppure, è proprio oggi che si impone un ripensamento profondo delle relazioni internazionali, che stanno rapidamente riorganizzandosi attorno alle logiche del realismo geopolitico multilaterale. Allo stesso modo, i rapporti all’interno dell’Ue vanno di volta in volta ridisegnati, con coraggio e duttilità, se l’obiettivo è “più pace e meno tecnocrazia”. Sullo sfondo, la necessità di riconsiderare il processo di integrazione europea, da smontare e ricostruire dalle fondamenta su basi nuove e più ristrette (impedire l’allargamento oltre il numero già elevato dei 27 Stati membri e opporsi al superamento della “regola dell’unanimità” sarebbe intanto già qualcosa).

È questo, inoltre, il momento per riannodare i fili spezzati delle relazioni con Russia e Cina. Nel fare tutto ciò possiamo attingere alle migliori tradizioni della nostra storia repubblicana: di ispirazione keynesiana sul piano della politica economica, ancorata a una visione di apertura mediterranea e di amicizia con il mondo arabo sul piano della politica estera.

Qui si delinea una diversa idea di interesse nazionale, che è di matrice nazional-popolare perché orientata a fini di progresso materiale e spirituale diffuso, con particolare riferimento alle esigenze profonde dei ceti popolari. Un progetto fondato su tre parole: pace, giustizia sociale, sovranità democratica. Con una prospettiva chiara da coltivare. Non un’Italia rassegnata a essere quinta scenica dell’Occidente o meta turistica globale. Non un’Italia ripiegata su se stessa, in ritirata dalla scena internazionale. Ma un’Italia ambiziosa che vuole tornare protagonista, nel mondo e nella propria storia. Perché capace di esprimere, ancora, una funzione storica autonoma e progressiva, tanto sul piano interno quanto su quello esterno.

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Il Fatto Quotidiano

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