Non mi stupisce il mancato boom di iscritti a Medicina. Un vero cambiamento può attuarsi così
- Postato il 1 settembre 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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L’estate sta finendo diceva un tormentone estivo di qualche anno fa. Un anno se ne va continuava. Mai nessun ritornello è più adeguato al periodo scolastico ed universitario che inizierà a breve e che coinvolgerà con regole nuove l’accesso ad un futuro in camice bianco.
Il governo pensava di aver risolto il problema della scarsità di medici abolendo i test di ingresso. Almeno questo è quello che hanno pensato. In realtà secondo me avrebbero dovuto farlo veramente, come dico da anni, visto che anche da esperienza ormai lontana nel tempo, la selezione è naturale. Molti rinunciano realmente durante il lungo percorso di studio di sei anni per Medicina e Chirurgia e di quattro anni di Specializzazione obbligatoria per entrare dopo 10 anni, se tutto va bene, nel mondo del lavoro alla soglia dei 30 anni quando, in altri campi, la carriera può essere già molto avanti.
Per questo non sono per nulla stupito dalle notizie di questi giorni per cui molti aspiranti medici rinunciano a completare l’iscrizione a Medicina e Chirurgia dopo aver compreso che i test vengono solo spostati dopo un periodo di sei mesi. Non c’è stato un boom di iscrizioni proprio per l’incertezza della possibilità reale di potersi iscrivere se non dopo aver superato i test nazionali programmati per il 20 novembre ed il 10 dicembre prossimo. Gli iscritti ai test sono circa 50.000 su circa 24.000 posti con una percentuale del 70% di donne. Ma se avessero voluto in questo modo liberalizzare l’accesso occorreva permettere ad esempio la possibilità di test gratuiti su semplici basi sanitarie (il test costa 250 euro quest’anno).
La stessa cosa si nota negli accessi alle scuole infermieristiche e di altre professioni sanitarie che anche quest’anno un calo del 10% delle iscrizioni che aveva visto nel 2024 la stessa percentuale di riduzione.
Un colabrodo veramente preoccupante. A cominciare dal primo contatto che il cittadino deve avere con la propria salute e la propria malattia che oggi si è spostato al Pronto Soccorso denaturandolo dal suo principio assoluto di urgenza. Oggi spesso il cittadino non avendo la possibilità reale di qualunque contatto medico o non si cura o si reca, magari tardi, al Pronto Soccorso, intasandolo spesso di patologie che sarebbero potuto essere risolte dalla medicina di base.
Quella medicina di base che evidenzia le sue carenze di numeri come ci dice uno studio pubblicato solo qualche mese fa: “A rischio estinzione: ne mancano oltre 5.500, il 52% è sovraccarico e 7.300 andranno in pensione entro il 2027”. Naturalmente anche la nuova riforma della medicina generale, ormai all’osso, fa acqua da tutte le parti. Perché se si volesse veramente un cambiamento e giovani che si riappassionino all’empatia, al rispetto degli altri e del prendersi cura di loro chi ha potere decisionale deve alleviare i sintomi di questo paziente agonizzante ormai da decenni che è la sanità.
La politica non deve, come abilmente fa ogni volta, dribblare il problema per lasciarlo al prossimo che dovrà affrontalo per poterlo contrastare sul piano delle idee. O meglio sul piano delle parole inutili alla collettività che non si rende conto di cosa avremo a breve. Una sanità solo privata fin dal primo contatto.
Ma noi siamo storicamente il paese del bengodi. Non permettiamo ai nostri giovani un accesso libero alle università, ci mancano i medici e li prendiamo, come è diventato abitudine dal periodo del Covid, dall’estero. Come i cubani che in Calabria avevano firmato un accordo per sostituire i medici mancanti nelle strutture pubbliche ed ora, al termine del contratto, in massa si sono spostati verso le strutture private accreditate. Anche loro spostano l’asse verso una sanità non più statale.
Per questo continua a pensare che un vero cambiamento dovrebbe proprio esserci dall’Università e dalla Medicina del Territorio. Una nuova facoltà di cinque anni secchi che sforni tanti medici di primo contatto dipendenti statali in reparti di ospedali e case di cura accreditate. Medici che siano sempre a disposizione del cittadino (non un’ora alla settimana ogni 100 pazienti come vorrebbe la riforma!) in modo turnistico come qualunque reparto specialistico. Non medici di serie B ma medici che collaborino a stretto contatto con gli specialistici liberando i Pronto Soccorso per le urgenze vere. Medici che, come gli altri potranno, oltre gli orari ospedalieri fare il loro studio privato contribuendo cosi in quota percentuale ai contributi privatistici dell’Enpam che ha il terrore di perdere quelli dei medici di medicina generale privati accreditati che stanno piano piano scomparendo.
Sembra un discorso comune fra politici e amministratori. Spostare il problema turandosi il naso, le orecchie e la bocca. Quando troveremo qualcuno disposto a pulire ogni angolo del nostro sistema salute per far tornare la nostra sanità sana?
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