Non smettiamo di parlare di Gaza

  • Postato il 19 maggio 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Netanyahu capitola alle pressioni internazionali da parte degli Stati Uniti e degli altri governi – che continuano però a sostenere l’azione militare israeliana – e annuncia di essere pronto a far entrare “una quantità minima di cibo” a Gaza, dopo oltre due mesi e mezzo di blocco totale degli aiuti.

Queste sono le reazioni del suo governo:

Il Ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben-Gvir definisce la decisione di Netanyahu di far entrare “una minima quantità di cibo” aiuti a Gaza “un grave errore” (direte: perché è poco? No, perché è troppo: vorrebbe proseguire con il blocco totale);

Il Ministro del Patrimonio Amichay Eliyahu – quello che considerava un’opzione morale il lancio dell’atomica su Gaza, ma poi deve aver studiato qualche rudimento di fisica – descrive il piano come “una tragedia”: “Fare entrare gli aiuti umanitari ora danneggia direttamente lo sforzo bellico per ottenere la vittoria”. (Quale Vittoria? Costringere tutti i palestinesi ad abbandonare Gaza: “Dobbiamo trovare modi che siano più dolorosi della morte per convincerli”, ha detto alla radio locale);

Il Ministro delle Finanze, Bezalel Smotrich, aveva già dichiarato che avrebbe lasciato il governo se “anche solo un briciolo” di aiuti umanitari fosse entrato a Gaza e avesse raggiunto Hamas. Il suo proposito era quello di “Non far entrare nemmeno un chicco di grano”, definendo “giustificato e morale” lasciare che Israele “causi la morte di fame di 2 milioni di civili”.

Anche i parlamentari del Likud, il partito di Netanyahu, criticano duramente la decisione. Avichai Boston la definisce “Una follia”. Per Moshe Saada “Far entrare gli aiuti è una decisione scorretta e immorale”.

Tsav 9, un gruppo israeliano con centinaia di aderenti sanzionato perfino da Ue e Stati Uniti per aver più volte bloccato i camion di aiuti umanitari diretti a Gaza aprendo i sacchi di farina per spargerla al vento, distruggendo le altre derrate, dando fuoco ai tir, invita tutti i cittadini a riprendere queste azioni: “Ogni israeliano deve unirsi a noi per fermare questi convogli. Non possiamo rimanere in silenzio nelle retrovie”.

Intanto, a Gaza, i civili continuano a morire di fame (decine i bambini già morti per malnutrizione acuta) e sotto le bombe e i colpi di artiglieria dell’esercito israeliano, anche se in Italia i media tendono a dare la notizia in modo distorto tipo: “Atri 23 palestinesi rimasti uccisi sotto le bombe”, invece che nel modo corretto: “Altri 23 palestinesi uccisi dalle bombe dell’Esercito Israeliano”.

Le ultime – le ultime mentre scrivo, delle quali si ha notizia – hanno colpito ancora quello che era il più grande ospedale della Striscia, ridotto a groviera, e non più funzionante da oltre un anno. A ogni bombardamento medici e paramedici provavano a mettere in salvo l’attrezzatura scampata alle bombe e i medicinali per operare comunque, in postazioni di fortuna. Fino a ieri le cose rimaste erano accatastate in un magazzino che è stato bombardato. Medici Senza Frontiere denuncia come, da mesi, a Gaza i bambini subiscono amputazioni degli arti senza antidolorifici così come partoriscono le donne, le quali muoiono nei casi in cui sarebbe necessario un cesareo.

Perché Netanyahu ha ceduto sull’invio di aiuti? O meglio: perché, su questo fronte, hanno ceduto Trump, i monarchi assoluti dei paesi arabi che con lui stanno facendo affari, i leader europei Starmer, Mertz e Meloni (il ministro degli esteri Tajani ha per la prima volta preso posizione: “Non possiamo non dirlo, basta attacchi, dobbiamo dire al governo israeliano basta, la reazione c’è stata, arrivate alla pace”)? Perché sono sempre più in imbarazzo e cominciano a capire che la storia presenterà il conto non tra molti anni ma nel corso dei loro mandati. L’inferno di Gaza è sempre più sotto gli occhi di tutti, non più solo di chi ha contatti diretti o guarda i social più di giornali e della tv.

Ieri, a Londra come all’Aja, ci sono state manifestazioni oceaniche in supporto della Palestina e i leader europei sanno che, nonostante la censura mediatica, nonostante gli interventi delle forze dell’ordine che identificano, malmenano e arrestano chi espone la bandiera palestinese, queste manifestazioni saranno sempre più imponenti.

I giornalisti che si ribellano al racconto deformato del genocidio non sono più casi isolati, come quello di Ludovica Jona che due giorni fa, durante una conferenza stampa al Maxxi, ha affrontato l’ex ministro Minniti, ora alla guida della fondazione di Leonardo per i rapporti con il Medio Oriente, il quale spiegava che la mostra allestita era un segnale di pace: “Come segnale di pace non sarebbe più efficace smettere di vendere armi a Israele?”, chiede Jona prima di essere trascinata via dagli organizzatori che le strappano il microfono.

Questo il comunicato dei giornalisti del Tg3, stamattina è in corso un incontro al Consiglio Nazionale dell’Ordine dei giornalisti con, tra gli altri, l’inviata Rai Lucia Goracci, Riccardo Iacona e l’autrice del servizio di Presa Diretta su Gaza Chiara Avesani; il giornalista Raffaele Oriani che nelle prime settimane dello sterminio dei palestinesi ha lasciato La Repubblica nauseato dal modo in cui il giornale occultava i civili ammazzati a Gaza.

Ieri, collegato da Gaza, il giornalista Alhassan Selmi, autore con Raffaele Oriani e l’illustratrice Marcella Brancaforte di un libro che racconta in presa diretta lo sterminio appariva smagrito, stremato. A ogni incontro dice: “Non so se la prossima volta sarò vivo”. Alla domanda cosa possiamo fare per voi ha risposto: “Non smettete di parlarne”.

Non smettiamo di parlarne. Diffondiamo le testimonianze sui social, riempiamo le piazze, non abbiate paura di esporvi e di manifestare: chi difende il governo israeliano ha potenti mezzi economici, ma noi che denunciamo come non possa esserci giustificazione morale alcuna per lo sterminio di decine di migliaia di civili in maggioranza donne e bambini e per la rimozione forzata di un popolo da Gaza come dal resto dei territori illegalmente occupati abbiamo una cosa più potente dei soldi. Noi abbiamo ragione.

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Il Fatto Quotidiano

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