Ogni cosa è una possibilità. Anche la morte

  • Postato il 24 maggio 2025
  • Blog
  • Di Il Fatto Quotidiano
  • 1 Visualizzazioni

“Ogni cosa è una possibilità”. È una lezione che porto nel corpo e nella mente. Me l’ha insegnata il mio Maestro di Karate Do, ora una presenza invisibile ma costante. Ogni cosa è una possibilità. Dunque anche la morte. Sì, anche la morte può essere una possibilità, di comprensione, trasformazione, crescita. Per chi se ne va, ma anche per chi resta. Lo è, anche quando fa male. Anche quando arriva all’improvviso, ingiusta e difficile da accettare.

Proprio oggi, mentre il nostro sguardo sulla morte comincia a cambiare, quell’insegnamento risuona con nuova forza. Per troppo tempo, la morte è stata espulsa dal discorso pubblico. Non per scelta esplicita, ma per rimozione culturale. Abbiamo preferito non parlarne, o farlo in termini di numeri, statistiche, protocolli.

Ma qualcosa si muove. Il tabù non è caduto, ma ha iniziato a perdere l’equilibrio.
Death education negli spazi pubblici, nelle scuole, cure palliative, nuovi luoghi per vivere la morte in modo umano, non solo sanitario. È un cambiamento che riguarda come moriamo — ma soprattutto come viviamo sapendo che moriremo.

Parlare di morte è tornare a riconoscerla come parte della vita. Una possibilità, non solo una fine. E intanto cresce il numero di donne che scelgono di accompagnare i lutti, riscrivere i riti, restituire dignità al passaggio più difficile. E chissà, forse un giorno vedremo pubblicità di onoranze funebri in prima serata, accanto a quelle di auto e dentifrici. Non sarà una provocazione, ma il segnale che abbiamo smesso di considerare la morte come un incidente da rimuovere, iniziando a nominarla, a viverla, a integrarla.

In questo cambiamento si inseriscono due nuove figure: il cerimoniere funebre e il funeral planner. Il primo guida il rito del commiato personalizzato, nei vari passaggi del percorso rituale, dalla casa funeraria alla consegna dell’urna delle ceneri, accompagnando con parole e gesti (ma non solo) l’ultimo saluto. È spesso la figura più visibile nel giorno del funerale. Il secondo si occupa dell’organizzazione del rito: ascolta le famiglie, raccoglie desideri, coordina tempi e luoghi. A volte coincidono, spesso collaborano. Entrambi trasformano il dolore in un’esperienza di senso.

Non più tecnici del lutto, ma artigiani del commiato. Accolgono l’unicità di ogni vita.
In Italia emergono con forza, anche grazie alla sensibilità di molte donne. Portano cura, relazione, bellezza. Certo, serve preparazione: psicologica, simbolica, organizzativa, ma anche empatia, presenza, delicatezza.

Non basta saper parlare. Serve anche stare in silenzio, ascoltare, leggere i bisogni nascosti.
Il rito non è formalismo: è linguaggio dell’anima. Serve a fermarsi, nominare, attraversare.
Nascono cerimonie nuove: laiche, poetiche, partecipate. Una poesia di una nipote, un oggetto accanto alla bara, un video di immagini amate. Non è consolazione: è accompagnamento. Talvolta un gesto dice più di mille parole. Talaltra è la parola giusta a dare respiro.

Forse la vera rivoluzione sta qui: nel diritto a vivere il lutto senza vergogna.
Parlare di morte è il primo passo per imparare a vivere meglio.
Perché il lutto non si “gestisce”: si attraversa. E la ritualità non è un residuo: è una possibilità viva, generativa. Dunque, ogni cosa è una possibilità. Anche la morte. E forse, da lì, può nascere un nuovo modo di abitare la vita: più consapevole, più grato, più intero.
Perché ciò che impariamo nel commiato non è solo come lasciare, ma anche come restare.

E voi, quale rito vorreste per il vostro saluto?
Cosa vorreste lasciare, e cosa portare con voi, in quel passaggio così misterioso e potente?

L'articolo Ogni cosa è una possibilità. Anche la morte proviene da Il Fatto Quotidiano.

Autore
Il Fatto Quotidiano

Potrebbero anche piacerti