Ora che i media parlano del genocidio a Gaza, molti corrono ai ripari per evitare lo sputtanamento

  • Postato il 23 maggio 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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“Un giorno tutti diranno di essere stati contro”, scriveva al principio dei bombardamenti a tappeto su Gaza lo scrittore Omar El Akkad: “Un giorno, quando sarà sicuro, quando non ci sarà alcun rischio personale nel chiamare le cose con il loro nome, quando sarà troppo tardi per ritenere qualcuno responsabile, tutti diranno di essere stati contro”. A giudicare dalla levata di scudi contro Netanyahu da parte dei suoi alleati quel giorno sembrerebbe vicino, ma non facciamoci illusioni.

Tra gli intellettuali è tutto un “prima non scrivevo niente perché non c’erano parole per raccontare l’orrore a Gaza, ma pur denunciando che il 7 ottobre è stata una strage senza precedenti e che Hamas sono terroristi e che bisogna liberare gli ostaggi israeliani, mi preme dire che quello che sta facendo Netanyahu è ingiustificabile e va fermato”. Per inciso: eri senza parole se eri uno degli oltre 200 giornalisti palestinesi ammazzati a Gaza. Se invece eri vivo e stavi qui le parole le avevi. La prossima volta, usale per tempo per denunciare quelli che ammazzano i giornalisti.

Attenzione però: se per alcuni il pentimento o il timore dello sputtanamento è reale, tra i molti che per oltre un anno e mezzo hanno fatto da scorta mediatica allo sterminio c’è chi si preoccupa solo di come proseguire nell’opera. La definizione di “scorta mediatica” è di Raffaele Oriani, che lasciò Repubblica denunciando come il suo giornale occultava sistematicamente i crimini di Israele e le vittime civili palestinesi: i caporedattori e le grandi firme che per oltre un anno e mezzo hanno messo in dubbio, contestualizzato, nascosto nelle pagine interne e in coda ai pezzi lo sterminio dei civili, oggi che lo sterminio è sotto gli occhi di tutti tentano di salvare carriera giornalistica e politica facendo ricadere la responsabilità su Netanyahu invece che sui suoi alleati.

Questi apparenti pentimenti non puntano a fermare la pulizia etnica che avanza imperturbabile (il ministro Smotrich ha appena annunciato trionfante la costruzione di oltre 500 nuove palazzine nei territori illegalmente occupati dai coloni in Cisgiordania). Piuttosto, a rinnovare il sostegno a Israele contenendo la strage dei civili in dimensioni gestibili, riconducibili ai danni collaterali della legittima difesa, occultabili alle coscienze dei direttori e agli occhi dei lettori.

Un esempio dei molti che oggi scaricano Netanyahu per salvare il colonialismo israeliano è Paolo Mieli. Ospite di Lilli Gruber, ha fatto quello che ha ha presentato come “un ragionamento molto elementare”. E cioè che se Netanyahu non va più bene, non è perché è un criminale invasato alla guida di un governo di invasati peggio di lui che porta deliberatamente avanti il genocidio dei palestinesi e la deportazione forzata dei superstiti: è perché è una pippa. Una pippa che non è capace di portare a termine il Piano-Riviera di Trump in tempi ragionevoli: “Se dopo un anno e sette mesi la situazione a Gaza è tale che hai un controllo della situazione molto approssimativo… per realizzare quel piano, che è un piano molto elaborato e ci vorranno quanti, cinque anni? E dove li metti i palestinesi? Non s’è capito…”.

Un ragionamento molto elementare, se uno ha dedicato la carriera ad arrampicarsi sugli specchi per giustificare il saccheggio delle risorse, le stragi dei civili, il colonialismo, i crimini contro l’umanità dell’Occidente ai danni di milioni di afghani, libici, somali, iracheni, iraniani e via sterminando, ma il messaggio è chiaro: noi gente di cultura che fin qui abbiamo sponsorizzato il genocidio – certi di riuscire anche questa volta a convincere voi geometri e cassiere e pensionati della Cgil abbonati a Repubblica che si trattava di lotta al terrorismo – ci siamo resi conto di aver pestato una merda. Quella merda è Netanyahu, e ora ce la togliamo in fretta dalla scarpa per non macchiare il pavimento lucido dello studio dei Brunivespa e dei Formigli e continuare con la consueta autorevolezza che ci riconosciamo a vicenda a pontificare dai salotti televisivi mentre voi fate la fila alla posta, giocate la schedina, cucinate i bastoncini di pesce, prendete l’autobus e i figli a scuola e tutte quelle altre cose che fate dalla mattina alla sera e che non vi consentono di approfondire la conoscenza delle cose del mondo come facciamo noi leggendo ogni giorno gli editoriali che scriviamo.

Come nel Gattopardo, si cambia tutto – il premier israeliano – per non cambiare niente: il sostegno al progetto coloniale portato avanti dal suo governo.

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Il Fatto Quotidiano

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