Nel carcere minorile di Bologna i ragazzi vivono nella spazzatura: tutto è lercio da fare schifo

  • Postato il 20 maggio 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Ragazzini che vivono in mezzo alla spazzatura, quasi l’intera giornata chiusi in cella: questo accade nel carcere minorile di Bologna, che ho visitato nelle scorse ore insieme a Giulia Fabini, presidente di Antigone Emilia Romagna.

E non è il solo in queste condizioni. Il sistema della giustizia minorile è allo sbando e la colpa è delle scelte politiche che lo hanno guidato negli ultimi tempi: gli arresti forsennati dovuti al Decreto Caivano del settembre 2023 e il sovraffollamento che ne è conseguito, la cancellazione di ogni progettualità educativa, gli adolescenti in gabbia privati di ogni sostegno e speranza. Il direttore dell’istituto bolognese fa il possibile e tampona le situazioni come può. Che non si cerchi il capro espiatorio in lui, in un educatore, in un qualsiasi operatore penitenziario: non è da loro che dipende questo sfacelo.

Ero stata nel medesimo istituto un anno e mezzo fa e la situazione era completamente diversa. Oggi il direttore, lasciato troppo solo di fronte alla situazione precipitata, non può contare su personale sufficiente neanche a garantire una corretta igiene degli spazi. Quel che abbiamo trovato durante la nostra visita è indegno. Il corridoio, i refettori, le scale: tutto è lercio da fare schifo. Muri sporchi di cibo o di chissà cos’altro, colate di liquidi ripugnanti, bucce di banana, di mandarino, fili elettrici a vista strappati dal muro, involucri di ogni tipo abbandonati da non so quanto tempo che nessuno raccoglie, cicche di sigaretta, uno strato di nera polvere ovunque. Ridotti in questo stato, i refettori non sono più utilizzati per mangiare insieme e anche durante i pasti i ragazzi restano in cella.

Dentro la sezione dei minorenni, ci siamo affacciate a una cella in fondo al corridoio. Ospitava quattro ragazzini stranieri, diciassettenni. Capivano poco, sia le nostre parole che la situazione generale. Nella stanza c’erano quattro brande e una televisione. Niente di più. Non un tavolino, non una sedia. In compenso, montagne di spazzatura. Un cumulo si trovava sulla destra, composto da bioccoli di polvere nera, spessa, lanosa. I ragazzi la raccoglievano con la spazzola di una scopa priva di manico. Carponi, afferrandola con entrambe le mani, concentravano in quel punto il sudicio che a mano a mano si riformava sul pavimento. Non avevano una paletta per raccoglierlo. Semplicemente, lo vedevano crescere giorno dopo giorno. Sulla sinistra c’era un altro cumulo, di diversa natura. Era composto da bottigliette di plastica vuote, incarti di biscotti o di merendine, cartacce. Non avevano un cestino dove buttarle. Le pareti, il pavimento, tutto era vuoto e lurido.

Ho chiesto ai ragazzi perché non pulissero la stanza. Mi hanno risposto che non avevano detersivo, non avevano straccio. I bastoni della scopa sono un bene prezioso: i ragazzi ci costruiscono dei pesi rudimentali, legando ai lati bottiglie di plastica piene d’acqua o cose simili, per fare un po’ di allenamento fisico. Nessuno gli fornisce gli attrezzi. I bastoni finiscono per rompersi e quindi è meglio non lasciarglieli. Ma non era questa la loro priorità. Uno dei ragazzi che parlava un po’ meglio la nostra lingua ci ha spiegato di cosa avessero bisogno. La televisione, unica compagnia delle loro lunghe giornate, era fissa sul canale 29. La programmazione era per loro scarsa e dall’apparecchio non si poteva cambiare canale. I telecomandi sono a pagamento e loro non avevano soldi. Ci hanno ripetuto più volte la parola ‘sussidio’, senza che inizialmente capissimo a cosa volevano riferirsi. Poi abbiamo capito: era stato detto loro di aspettare che arrivassero i sussidi, a volte in carcere accade, piccole somme che sono consegnate ai detenuti bisognosi. Così avrebbero potuto comprarsi un telecomando. Ma questi sussidi non arrivavano e intanto i ragazzi stavano buttati sulle brande, circondati di immondizia, a guardare il solo canale 29.

Pensavo non si potesse incontrare di peggio in un carcere minorile. Ma mi sbagliavo. Dalla parte opposta del corridoio, speculare, nell’angolo estremo visibile solo a chi appositamente sceglieva di recarsi fin lì, abbiamo incontrato la situazione più indecente. Indegna. Drammatica. Della quale come paese dovremmo tutti vergognarci. Un ragazzino, anche lui di 17 anni, con evidenti problemi psichiatrici, chiuso da solo in una cella poco più grande di uno sgabuzzino, ridotta come potrebbe essere una casa abbandonata da un decennio e ormai in rovina. I vetri della finestra erano rotti, l’unico arredo era un letto con materasso, senza lenzuola e con una coperta fetida. Il pavimento era bagnato da pozzanghere di acqua sporca che filtrava fin fuori sul corridoio. Lui era in piedi con le scarpe nell’acqua. C’era spazzatura ovunque, unica compagnia per quel ragazzo (non aveva neanche la tv, neanche un singolo canale, perché l’ultima l’aveva rotta in un gesto di rabbia) che ci chiedeva di poter fare una doccia.

Sporgendosi tra le sbarre si intravedeva il bagno scassato e una turca inondata da rifiuti. Abbiamo chiesto ai ragazzi della cella più vicina se sapessero qualcosa di lui. Ci hanno risposto che non lo incontrano mai, che non esce mai, che solo la notte lo sentono parlare ad alta voce e lamentarsi. Un ragazzino del tutto incompatibile con il carcere, che non dovrebbe trovarsi lì, per il quale è nostro dovere attivare percorsi di presa in carico che possano dargli una prospettiva di vita.

Vi ho raccontato un singolo carcere che ne rappresenta anche altri (per fortuna non tutti). A pochi chilometri da lì, l’indecenza di una sezione minorile aperta all’interno di un carcere per adulti, quello della Dozza. Il sistema della giustizia minorile è al collasso. Un sistema che per decenni era considerato un modello dall’intera Europa è stato distrutto. Là dove prima si spiegava, si insegnavano i valori, si davano gli strumenti per riprendere in mano la propria vita, oggi si è perso ogni senso del nostro ruolo, non si agisce secondo alcuna consapevolezza di cosa ci stiamo a fare in quelle carceri come società. Quando va bene si fa un po’ di scuola, quando va benissimo si fa qualche laboratorio. Per il resto si chiudono le celle e si interrompe ogni dialogo.

I ragazzi, fatti vivere nel degrado più assoluto, crederanno di essere anche loro degradati. Crederanno di non avere più nulla da perdere e di non meritare nulla. Neanche un po’ di detersivo per pulire il pavimento. Crederanno di essere spazzatura, come quella nella quale li facciamo vivere.

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