Osservatorio Curatori: curare significa creare comunità secondo Giulia Turconi
- Postato il 15 agosto 2025
- Arte Contemporanea
- Di Artribune
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Giulia Turconi (Saronno, 1994) è curatrice e storica dell’arte. Attualmente ricopre il ruolo di assistente curatrice in Fondazione Merz. Ha conseguito una laurea triennale in Lettere Moderne e una seguente laurea magistrale in Arti Visive presso l’Alma Mater Studiorum di Bologna, frequentando poi nel 2021 Campo, corso di studi e pratiche curatoriali. Negli anni ha collaborato con Exibart e lavorato a progetti curatoriali indipendenti. Le abbiamo chiesto di raccontare sé stessa e la sua pratica curatoriale.
Chi è Giulia Turconi
Rischierò senza dubbio di essere un po’ malinconica e forse a tratti romantica in questo racconto sul mio percorso formativo e professionale, ma dal primo momento in cui mi sono avvicinata al mondo dell’arte ho subito intuito come questo rifletteva un aspetto della mia vita che era sempre stato lì, latente, pronto tuttavia a esplodere e divenire una parte costante e quotidiana. Ricordo ancora adesso il primo corso di storia dell’arte all’università e ricordo in maniera particolare la lezione su Duchamp, il caso di Richard Mutt e della Fontana, tutto quel discorso intorno al concetto di ready-made, l’idea che un oggetto di uso comune venga scelto, selezionato accuratamente dall’artista per innalzarlo a opera d’arte, modificandone il valore e l’uso: defunzionalizzare e creare un nuovo pensiero dell’oggetto. Discorso coerente con l’idea che l’arte e la vita si condizionino reciprocamente e che divengano una lo specchio dell’altra. È stato lungo gli anni che ho capito come determinati miei interessi, certe mie predisposizioni e moti d’animo potessero evolversi accanto alla ricerca teorica e come anzi trovassero il modo di esprimersi e prendere forma.
Radici e identità tra nord e sud Italia
Sono nata e cresciuta in Lombardia, in un piccolo paese della provincia di Varese e la famiglia da parte di mia madre era emigrata negli Anni Settanta dalla Calabria verso nord. I miei genitori si sono conosciuti in fabbrica, ‘in manifattura’ e condividevano il senso di appartenenza alla classe operaia e proletaria, sentimento e stato d’animo che poi avrebbero inevitabilmente plasmato all’interno della casa, facendoci crescere con determinati ideali, nell’eco e sullo sfondo di discorsi, suoni e immagini. Ho avuto chiaro sin da subito il contrasto tra nord e sud, un contrasto che è sempre stato di colori, emozioni, profumi, sapori e che ha sempre visto come vincitore il Sud, con la sua capacità di farmi commuovere, farmi sentire viva e disperatamente malinconica allo stesso tempo. È probabilmente da lì che è cresciuto in me il senso di comunità, il concetto di relazione, l’importanza di appartenenza a un luogo e a un territorio. Quel senso di autenticità che ho sempre poi ricercato nella mia vita e che continuo a rincorrere e allo stesso tempo a far crescere.






Il museo come spazio di collaborazione
La mia prima esperienza all’interno di una realtà museale è stata nel 2019 al MAMbo di Bologna per la mostra Un certo numero di cose di Cesare Pietroiusti a cura di Lorenzo Balbi. Insieme ad altr3 giovan3 storich3 dell’arte e artist3, avevamo partecipato a un workshop lungo tutta la durata della mostra per ripensare e dare nuova forma, in maniera partecipata e collettiva, ad alcuni dei lavori esposti. L’idea di utilizzare lo spazio museale come laboratorio, in cui pensare e lavorare collettivamente, in uno scambio di idee, suggestioni e confronti con un artista che da sempre lavora con l’arte relazionale, è stato fondamentale nella mia crescita professionale. Pensare alle mostre, selezionare l3 artist3, strutturare i possibili public program, diventa un modo per creare nuove comunità temporanee, nuovi legami che possono strutturarsi nel tempo e soprattutto per creare momenti di riflessione partecipata e condivisa.
La curatela come impegno etico e politico
Con il mio lavoro alla Fondazione Merz ho avuto, e ho tuttora, la possibilità di sperimentare e di esplorare con un’attenzione costante l’attualità, essendo la Fondazione, e la sua presidente, da sempre rivolte verso temi di attenzione sociale e generosità di pensiero, rivolgendosi a coloro che dedicano la propria ricerca al superamento delle opposizioni derivanti dall’appartenenza politica, sociale e geografica. Sacro è, inaugurata nel marzo 2024, è stata la prima mostra che ho curato in Fondazione Merz con l’intento di suggerire una riflessione sul sacro quotidiano cercando di analizzare e comprendere cosa questo concetto comporti e custodisca attraverso otto giovani artist3 internazionali: Matilde Cassani, Giuseppe Di Liberto, Quynh Lâm, GianMarco Porru, Tiphaine Calmettes, Lorenzo Montinaro, Tommy Malekoff, Lena Kuzmich. Gli aspetti analizzati sono stati quindi molteplici, partendo dalla memoria personale e collettiva, passando al concetto di celebrazione e a una riflessione sulle barriere che l’essere umano impone a se stesso. Ma soprattutto, la mia ricerca intorno al sacro nasceva da una riflessione profonda che tutt3 noi stiamo ancora vivendo: un tempo fortemente segnato dall’odio e dall’indifferenza di fronte al dolore umano e all’ingiustizia. Un tempo di repressione della parola che dovrebbe essere libera, un tempo in cui la cultura fa quasi paura e viene fermata, taciuta.
La mostra Mio caro padrone domani ti sparo
In questa costante attenzione di suggerire una riflessione che possa nascere in maniera intima e poi evolversi attraverso il confronto, si è strutturata la mostra, inaugurata l’11 giugno 2025, Mio caro padrone domani ti sparo all’interno del Parcheggio Lancia, adiacente alla fondazione e parte del progetto TUTTOLIBERO, nato con l’obiettivo di diffondere l’arte anche in quei luoghi che non nascono come dei contenitori per accoglierla, ma che si dimostrano come spazi ideali per renderla fruibile senza preconcetti e formalismi. La mostra prende le mosse dal titolo con cui il cantautore Paolo Pietrangeli fece uscire il suo primo album nel 1970. In quegli anni, il ‘padrone’ veniva evocato con il crescere degli episodi di conflittualità sociale, attraverso le canzoni si iniziava a raccontare la realtà delle rivendicazioni operaie e, allo stesso tempo, queste facevano da sfondo sonoro durante i momenti di lotta. La mostra, presentando i lavori di Francesca Cornacchini, Domenico Antonio Mancini, Mosa One, Davide Sgambaro, Gabriella Siciliano, trascrive un percorso che si apre alla comunità e che cerca di interpretare e interiorizzare i diversi moti d’animo che infuocano la pluralità di menti e cuori che popolano la città e il quartiere.

I prossimi progetti di Giulia Turconi
Quest’estate saremo invece in Puglia, con Shayma Hamad (Ramallah), artista multidisciplinare, attivista e avvocata per il Volume 5 di giardino project dal titolo I feel a bit of sunshine when I see the marches all over the world supporting us (Noura Selmi). Il progetto, nato in collaborazione con Fondazione Merz e Fondazione Lac o Le Mon, prevede una residenza dell’artista che avrà poi una restituzione attraverso un workshop di cucina palestinese presso Lac o Le Mon. Questo capitolo diviene uno spazio in cui mettere in luce l’alleanza dei corpi, da sempre protagonisti nelle questioni sociali e politiche che rappresentano uno sfondo costante nella nostra vita quotidiana. In particolare, in questo momento di grande crisi e agitazione culturale e politica, l’obiettivo è quello di focalizzare l’attenzione sulla Palestina, in segno di solidarietà e supporto, nella riscoperta del senso di condivisione e confronto. L’arte costituisce uno specchio del tempo presente e una riflessione sul tempo presente che non sia politica rischia solamente di arrivare a vanificare l’esistenza.
Caterina Angelucci
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L’articolo "Osservatorio Curatori: curare significa creare comunità secondo Giulia Turconi" è apparso per la prima volta su Artribune®.