“Papa Francesco promuoveva comunità energetiche, l’enciclica Laudato Si’ da studiare a scuola”: il parere del fisico del Cnr
- Postato il 29 aprile 2025
- Ambiente
- Di Il Fatto Quotidiano
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“Francesco era una delle poche persone al mondo ad avere un’idea molto chiara della complessità delle relazioni che ci sono tra noi e la natura e tra noi e gli altri uomini. La sua Laudato Si’ si basa su evidenze scientifiche, sarebbe un testo da studiare nelle scuole”. Antonello Pasini, fisico del clima presso CNR, è in libreria con il suo nuovo saggio, La sfida climatica. Dalla scienza alla politica: ragioni per il cambiamento (Codice edizione).
A pochi giorni dalla scomparsa di Francesco, ricorda anche “che la Conferenza episcopale italiana ha fatto un vademecum ai parroci per diventare promotori di comunità energetica, un modo per fare energia pulita e insieme comunità, perché il problema vero è l’individualismo sfrenato, le pubblicità che incitano a comprare. La verità è che nessuna persona che ha poco tempo davanti a sé rimpiangerebbe cosa non ha comprato, ma quali relazioni, con le persone e con la natura, non ha coltivato”.
Il suo libro vuole mettere soprattutto al centro la complessità del sistema clima. Che non è stata ancora compresa.
Oggi siamo immersi in sistemi complessi, internet è un sistema complesso, l’economia globalizzata lo è: ma non sappiamo convivere e interagire con questi sistemi perché sostanzialmente il nostro cervello è nato per sfuggire al leone o predare i conigli, problemi immediati che richiedono una reazione immediata. Invece faccio vedere come nel clima tutto è complesso, qualsiasi azione si faccia a catena si va ad infrangere sulle altre, e al tempo stesso tutte le componenti e le caratteristiche del sistema clima non sono lineari. Se è vero ad esempio che il Mediterraneo come è noto è un hotspot climatico, al tempo stesso tutto quello che succede altrove impatta su di noi. La fusione dei ghiacci al polo nord potrebbe determinare siccità nel Sahel, che a sua volta causa migrazioni.
Come agire in questo sistema, allora?
Se vogliamo agire senza fare danni dobbiamo comprendere questa complessità, che include anche l’inerzia del clima, ovvero il fatto che se anche agiamo rapidamente le conseguenze le vedremo tra decenni. Reagire ad emergenze temporanee come quelle del gas russo andando a comprare gas altrove, senza andare verso le rinnovabili, vuol dire solamente aggravare la crisi in corso.
Una parte del libro è dedicata a spiegare perché la crisi climatica ha un’origine antropica e come si dimostra.
Oggi con i modelli che abbiamo riusciamo a capire quanto gli eventi estremi che vediamo siano dovuti al cambiamento climatico. Attraverso un laboratorio virtuale possiamo fare esperimenti che non potremmo fare in natura. Da questo punto di vista l’IA, di cui mi occupo dai primi anni Novanta, è una frontiera importante, accoppiandola con i modelli classici possiamo essere molto precisi. Si possono fare scenari precisi su singoli luoghi. Faccio un esempio di cui mi sono occupato: il fondovalle trentino e il Passo Tonale.
Un capitolo del libro è dedicato alla comunicazione: fake news, negazionismi, bolle mediatiche. Come si fa a comunicare il clima in questo contesto?
Il mondo della comunicazione è estremamente complesso ed è difficile far passare trasversalmente il tema climatico, perché ognuno è incluso nelle proprie bolle, appunto. E poi c’è il fatto che ciascuno guarda al risultato scientifico con gli occhiali della propria visione del mondo, per cui se il risultato è consono a quello che già pensi lo accetta, altrimenti lo rifiuta o peggio distorce per farlo combaciare con le proprie esigenze. D’altronde interi stati oggi fanno disinformazione sul clima. Eppure la scienza è un sistema controllato fatto di articoli peer reviewed, il resto sono opinioni.
Nel libro, rispetto alle soluzioni di mitigazione, lei fa riferimento alla messa a dimora di nuovi alberi, sostenendo che rischia di distoglierci dall’obiettivo primario di ridurre emissioni. Perché?
Ho fatto alcuni conti: in epoca preindustriale avevamo 5.000 miliardi di alberi, oggi 3.000; se volessimo piantare 1.000 miliardi di alberi, come qualcuno propone, dovremmo avere l’acqua necessaria, sperare che la temperatura non sia troppo elevata e non ci siano incendi, ma soprattutto taglieremmo al massimo meno del 25% di emissioni dovute alla deforestazione e all’agricoltura non sostenibile; ma il 75% delle emissioni è dovuto ai combustibili fossili: quindi non è la soluzione, la gran parte delle azioni va fatta lì.
Un punto a cui lei tiene è il dialogo con la politica. Non servono più, lei scrive, i manifesti, oggi il rapporto tra scienza e politica dovrebbe essere istituzionalizzato. Come si fa?
I politici preferiscono appoggiarsi su consulenti scientifici che spesso sono pseudoscienziati, vediamo cosa ha fatto e sta facendo Trump. Se però la comunicazione con la politica è fatta di noi scienziati che parliamo e loro che ascoltano, in maniera unilaterale, non funziona, anzi induce nella politica il sospetto che noi scienziati vogliamo agire al posto suo. Non è così, io ad esempio non ho la cultura che un politico ha sulla gestione del bene pubblico, sono uno scienziato e posso dire quali sono le soluzioni che pesano per contrastare il cambiamento climatico e quelle che sono mero greenwashing. Noi diamo un ventaglio di strumenti e soluzioni scientificamente fondate, poi la politica dovrebbe scegliere.
Lei da sempre sostiene che il contrasto alla crisi climatica non è né di destra né di sinistra.
Certo, infatti abbiamo bisogno di far capire ai politici che esiste uno zoccolo duro di cose che va fatto indipendentemente da chi sta al governo, perché il cambiamento climatico non ha colore, non è un problema ideologico ma scientifico. Ma quando parlo ai politici di destra, che credono alla competitività e al libero mercato, mostro come negli scenari peggiori il Pil crollerà in maniera paurosa; se invece parlo con un politico di sinistra più sensibile al tema delle diseguaglianze gli spiego come negli scenari peggiori queste si amplificheranno oltre misura. Insomma, la crisi climatica inficia qualsiasi idea di futuro.
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