Per Papa Leone il viaggio più drammatico: il Medioriente è un test anche per lui
- Postato il 27 novembre 2025
- Blog
- Di Il Fatto Quotidiano
- 1 Visualizzazioni
Papa Leone si prepara a partire per il Medio Oriente. E’ il viaggio più drammatico di un pontefice da quando Paolo VI iniziò negli anni Sessanta le visite apostoliche all’estero. Per la prima volta un pontefice si reca in una zona, che è teatro di un conflitto internazionale in corso. Oggi Leone arriva in Turchia, dove celebrerà con il patriarca ecumenico ortodosso Bartolomeo i 1700 anni del concilio di Nicea, il primo della storia cristiana, e domenica atterrerà a Beirut, capitale del Libano. L’importanza geopolitica del viaggio è destinata a sovrastare la dimensione religiosa.
Leone XIV arriva nell’occhio del ciclone. Come molti diplomatici e veterani dei servizi segreti silenziosamente prevedevano, Israele – incassata la liberazione degli ostaggi di Hamas ancora vivi – continua a bombardare a suo piacimento nonostante la tregua solennemente dichiarata. L’aviazione israeliana bombarda la striscia di Gaza, mietendo morti, e bombarda il Libano e persino la capitale Beirut nonostante anche lì sia ufficialmente in corso un cessate il fuoco. Nel frattempo Israele si è insediato in metà della Striscia di Gaza, ha occupato parti sia del territorio libanese sia del territorio siriano (uno stato che non aveva in alcun modo intrapreso azioni militari contro il governo di Tel Aviv).
Il viaggio del primo del pontefice americano acquista così il carattere di un test. Una prova della capacità di Prevost di rivolgersi all’opinione pubblica mondiale dal vivo di un conflitto che dopo il barbaro attacco di Hamas del 7 ottobre e i due anni di massacri operati dal governo israeliano a Gaza ha acquisito un’intensità mai vista. In questa situazione il piano di pace Trump è tutto da costruire. Leone ha già fatto conoscere con chiarezza il suo pensiero: no alla punizione collettiva inflitta da Israele ai gazawi, no a deportazioni di massa, sì alla convivenza tra uno Stato israeliano e uno Stato palestinese. Il cardinale di segretario di Stato Pietro Parolin ha anche aggiunto una condanna precisa: a Gaza è stata attuata da Israele una “carneficina”. E il pontefice, dinanzi alle proteste dell’ambasciata israeliana a Roma, ha sottolineato che il cardinale Parolin aveva “espresso molto bene la posizione della Santa Sede”.
Ad Ankara il Papa incontrerà il presidente turco Recep Erdogan, protagonista sia del dialogo russo-ucraino sia dei progetti per una forza internazionale di pace a Gaza. Nel Libano il pontefice incontrerà il presidente della Repubblica Aoun (cristiano maronita), il presidente dell’assemblea nazionale (musulmano sciita), il primo ministro (sunnita) e il corpo diplomatico, a cui rivolgerà un discorso. Saranno parole dedicate alla convivenza tra i popoli e le diverse confessioni religiose e che – al di là del confine – arriveranno anche al premier israeliano Netanyahu.
Gli ultimi mesi, infatti, hanno portato una novità drammaticamente negativa. Il governo e il parlamento israeliani hanno stracciato gli Accordi di Oslo, che prevedevano la nascita di uno Stato palestinese. Netanyahu ha dichiarato che non ci sarà “mai” uno Stato di Palestina mentre la Knesset ha già votato due volte testi miranti a estendere la sovranità israeliana sulla Cisgiordania.
In questo contesto va avanti, praticamente nel silenzio generale, l’ondata di pogrom cioè di violenze organizzate contro gli insediamenti palestinesi in Cisgiordania. Assalti organizzati da squadracce di coloni ebrei, quasi sempre con il tacito appoggio dell’esercito d’Israele. Si attaccano, si feriscono, si intimidiscono, si uccidono i palestinesi in quanto palestinesi. Si bruciano i raccolti, si tagliano gli ulivi, si distruggono case, impianti per l’acqua o l’energia elettrica. Si massacrano mandrie e si bloccano strade di comunicazione. La motivazione è quella propria paradossalmente dell’antisemitismo di ogni tempo: “Andatevene, questa non è la vostra terra, siete estranei”.
“Estremisti spesso armati – ha dichiarato su Avvenire mons. William Shomali, vicario generale del patriarcato cattolico d Gerusalemme – stanno esercitando una pressione sistematica per rendere insostenibile la vita della comunità palestinese, spingendola ad un esodo forzato”.
Tranne sporadici sussulti l’Unione europea rimane inerte di fronte alla vergogna di attacchi che nel solo mese di ottobre 2025 sono stati 260 e in due anni hanno provocato secondo dati Onu oltre mille morti, di cui 211 bambini. Tacciono anche le organizzazioni ebraiche all’estero. I cristiani palestinesi, cattolici e ortodossi, ma anche i musulmani guardano al Papa.
Andare a Nicea era l’ultimo sogno di Francesco. Nella sua Lettera apostolica appena pubblicata Leone XIV scrive che l’unità delle Chiese cristiane non si otterrà tornando alla situazione precedente le divisioni prodotte dalla storia né riconoscendo semplicemente lo status quo delle diversità attuali. Sarà necessario un “paziente, lungo e talvolta difficile cammino di ascolto e accoglienza reciproca”. Leone è meno impulsivo di Francesco. Ma tocca un tasto importante quando dice che l’interrogativo cruciale a cui rispondere dinanzi al mondo è: “Che cosa significa Dio per me e come testimonio la fede in Lui?”.
L'articolo Per Papa Leone il viaggio più drammatico: il Medioriente è un test anche per lui proviene da Il Fatto Quotidiano.