Il consenso ‘libero e attuale’ è frutto di una rivoluzione culturale. Ora facciamo prevenzione

  • Postato il 25 novembre 2025
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di Vera Cuzzocrea*

E’ recente e unanime l’approvazione alla Camera della proposta di legge che modifica il reato di violenza sessuale introducendo il requisito del “consenso libero e attuale”, in linea con quanto previsto all’art. 36 della Convenzione di Istanbul e come già avviene in diversi paesi.

L’elemento costitutivo della violenza diventa il consenso che deve essere dato volontariamente e valutato tenendo conto del contesto in cui avviene l’atto: un vero e proprio ribaltamento, dagli obiettivi di indagine alla dinamica processuale. In cui la vittima viene ascoltata nei suoi vissuti e riconosciuta nella condizione di particolare vulnerabilità che connota il reato e al reo viene restituita la responsabilità di dimostrare di non aver posto in essere nessuna forma di costrizione, non solo fisica ma anche psicologica.

E’ l’esito di una rivoluzione culturale che per secoli ha posto la vittima di violenza sessuale nel paradosso di essere giudicata, costretta a difendersi, prodotto scenari processuali di vittimizzazione secondaria. L’associazione Victim Support ha recentemente pubblicato i risultati di una ricerca da cui emerge che il 73% delle vittime sopravvissute ad uno stupro sarebbero sottoposte ad una ri-traumatizzazione giudiziaria. Per la durata, gli ascolti multipli connotati da domande screditanti tese ad indagare le azioni messe in atto per fermare l’atto, l’eventuale abuso di sostanze stupefacenti, l’abbigliamento indossato, la vita privata. Domande orientate a indebolire la credibilità della vittima più che ad accertare le responsabilità dell’autore, di fatto non capaci di restituire giustizia a chi subisce il reato. Giustizia, come quella che chiedeva l’avvocata Tina Lagostena Bassi, nella sua arringa conclusiva (Processo per stupro, 1978). Eppure la giurisprudenza si è espressa sull’irrilevanza della reazione della vittima nel delitto sessuale, riconoscendo la difficoltà psicologica vissuta a causa della paura e del frastornamento per l’imprevedibilità della situazione.

D’altra parte, i reati sessuali sono da sempre caratterizzati da credenze che di fatto hanno contribuito a normalizzare la violenza, disimpegnando moralmente chi ne è responsabile e colpevolizzando chi la subisce. E’ solo del 1981 l’abolizione del “matrimonio riparatore”: una pratica che “costringeva” la donna a sposare il suo stupratore quale “rimedio” al disonore. Come se il danno prodotto non fosse emotivo e fisico e il diritto violato non fosse alla propria libertà personale. Quasi non stupisce, considerando che la violenza sessuale, fino al 1996, era un reato contro la morale pubblica e non contro la persona! Franca Viola si è ribellata, trent’anni prima, rifiutandosi di sposare il suo violentatore, denunciandolo e ottenendone la condanna. Lei e molte altre andrebbero ricordate oggi: sono il 23,4% le donne tra i 16 e i 75 anni vittime di violenza sessuale (Istat, 2025). E chissà quante altre.

Sollecitando il governo ad investire in azioni strategiche volte a promuovere lo sviluppo di competenze emotive e socio-relazionali capaci di costruire uno star bene insieme sano svincolato da logiche di dominio e stereotipi di genere. Fin dall’infanzia. Si chiama prevenzione ed è necessaria a costruire quella consapevolezza del consenso. Per chi non sa percepirlo, per chi non sa ascoltarsi e per noi che troppo spesso abbiamo giudicato senza conoscere guardando ad un’unica storia possibile.

* Vicepresidente Ordine Psicologi Lazio

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