“Perché, don Matteo?”. La tragedia di don Balzano fa riflettere su vocazioni e solitudine
- Postato il 8 luglio 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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di Claudio Zerbetto
“Perché, don Matteo?”. La notizia che una persona si è tolta la vita non passa inosservata. Nelle redazioni dei giornali si discute spesso se pubblicarla, magari in poche righe, con le sole iniziali e possibilmente senza foto. Sta alla sensibilità di quanti fanno questo mestiere. Per rispetto del grande dolore dei familiari ed amici, di quanti gli esperti chiamano “sopravvissuti”. Se poi si tratta di un prete, diventa ancor più forte l’impatto mediatico e gli interrogativi aumentano. Dentro e fuori la Chiesa.
Oggi, infatti, è il momento del dolore per la comunità di Cannobio, in provincia di Novara. Il vicario parrocchiale, don Matteo, si è tolto la vita ieri nel suo appartamento a fianco l’oratorio. Non si era presentato alla celebrazione della Messa del mattino e non rispondeva al cellulare. Poi la tragica scoperta.
Lo piangono, prima di tutti, i suoi familiari e il vescovo di Novara, Franco Giulio Brambilla, conosciuto per i suoi lunghi e ripetuti viaggi in auto per raggiungere e dialogare con i suoi sacerdoti. Da quelli più giovani agli anziani. In una diocesi molto estesa, la più grande del Piemonte, con 336 parrocchie e 27 unità pastorali. Era stato lui, nel 2017, a ordinare sacerdote don Matteo. Il dolore di monsignor Brambilla è quello di un padre, che drammaticamente ha perso un figlio. E poi i giovani, che in don Matteo avevano trovato una guida per tentare di dare un senso alla propria vita partendo dal Vangelo.
Trentacinque anni, vicario parrocchiale a Cannobio, era responsabile dell’oratorio. Un luogo dove la vita sprigiona entusiasmo. Che lui stesso trasmetteva a contatto con i ragazzi e ragazze. Luogo dove le giovanissime generazioni si confrontano, fanno esperienza di divertimento, gioco, dello stare insieme. Ma anche uno spazio per riflettere e impegnarsi nella realtà quotidiana. Don Matteo incoraggiava e condivideva. Un diploma di perito aeronautico, a vent’anni aveva deciso per un universo più ampio che abbracciava fede e stupore per la creazione. Per un Dio che incontrava nelle persone e nello Bellezza della natura, dopo una faticosa scalata in montagna.
Era così don Matteo. Sorridente quanto riflessivo. Amico e guida. Prete inserito in un mondo che cambia a velocità della luce. Dove c’è tutto e il contrario di tutto. Dove le relazioni assumono una dimensione totalmente diversa nell’éra informatica. La stessa fede viene messa in discussione e le certezze (materiali) scalzano il dubbio e la speranza. La fede è, prima di tutto, fiducia e lealtà verso qualcuno o qualcosa. Su una dimensione che è difficile da dimostrare razionalmente. E’ una ricerca continua, un cammino. Un atto di fiducia, un dialogo con Dio. Dal quale nasce un impegno personale e una scelta di vita.
Chissà quante volte don Matteo avrà parlato anche della sua esperienza di prete, del suo voler essere accanto alla gente, nella gioia e nella sofferenza, nei momenti della prova, come nelle decisioni difficili da assumere.
Era un uomo, il giovane Matteo. Che ha scelto di donare tutta la sua vita a Dio e agli altri. Un uomo tra gli uomini. Un giovane prete tra i giovani. Con tutte le fragilità della sua giovane età, ma sempre pronto alla testimonianza. Del Vangelo. Coraggio e fragilità a volte creano una miscela di debolezza, di vulnerabilità mai di tradimento alla vocazione.
Dopo momenti di gioia ed entusiasmo, di fatica, ognuno si ritira nel proprio nido domestico, tra gli affetti dei familiari. Il prete no. Dopo l’impegno e la fatica, si ritrova a chiudere la porta dietro a sé. E il mondo sembra rimanere fuori. Cala il silenzio. A volte cercato nella preghiera, ma spesso frutto di una solitudine che crea inquietudine e scoramento. Il mondo sembra così lontano.
La storia di don Matteo, prete della Chiesa di Novara, fa riflettere anche per questo. Si parla spesso di crisi di vocazioni. Scordiamoci ormai la storia di un campanile, un sacerdote. Oggi vengono create nuove Unità Pastorali per supplire la carenza di presbiteri. La mappa delle diocesi cambia volto. Ampi spazi di territorio racchiudono più parrocchie. Cinque, sei a volte di più. Un sacerdote o due ne sono alla guida. Gli impegni sono più che raddoppiati e costringono i preti a un servizio che li prova fisicamente e psicologicamente. In una società attuale che li rende sempre più spesso come “burocrati della fede”, distributori di servizi religiosi e sacramenti. Si arriva così a parlare di “burnout”, quel senso di inadeguatezza, di sfinimento che corrode l’animo e la mente.
Mi chiedo se la solitudine, in questo contesto, non ne aumenti gli effetti. E che lo scoraggiamento abbia la meglio in sacerdoti ormai stanchi dopo tanti anni di servizio. Penso sia questo uno dei motivi per i quali un uomo sente il peso e la fatica dell’essere prete. Di fronte alla solitudine di un prete, c’è una sola cosa da fare: aiutarlo a vivere serenamente la sua scelta, facendogli sentire l’importanza del suo servizio. Stargli vicino, non farlo sentire solo ma parte di una grande famiglia che è poi la sua comunità. Basterebbe poco. Un invito a una cena o a un pranzo in famiglie della comunità, una ricorrenza, un compleanno. Anche dopo la celebrazione di un battesimo, la presenza del prete può essere motivo di condivisione per festeggiare una nuova vita con la famiglia del bambino o bambina e con altre coppie.
Ci sono poi altre occasioni di incontro che possono essere condivisi tra giovani e adulti. Per esempio, il conseguimento di un diploma, una laurea, oppure un traguardo importante raggiunto. Una realtà quotidiana da vivere nei quartieri dove risiedono e vivono le famiglie. Il Vangelo passa negli spazi della vita domestica e lascia un suo messaggio. La vita della Chiesa nel quotidiano. Una vita condivisa. Dove prete e fedeli diventano una grande famiglia “allargata”, come si usa dire oggi. Dove si sente il calore dello stare insieme e la gioia di esserne parte.
Non ho conosciuto personalmente don Matteo. Mi sento, però, dirgli grazie per quanto ha fatto in questi anni. Con una testimonianza sincera. Non so se, pur essendo sinceramente amato, sentisse la mancanza di un ascolto e quindi vivesse una solitudine insostenibile. Sicuramente non si sarà concesso sconti nel suo essere prete, fino in fondo. Un gesto il suo, che paradossalmente assume, nell’evidente fragilità umana, una dichiarata fedeltà a Dio e alla sua Chiesa. E al suo vescovo, Franco Giulio. Un atto estremo, fino a decidere di rallentare e poi fermarsi del tutto. Spegnendo il motore. Senza rinnegare la sua vocazione. Per passare a nuova vita.
Se hai bisogno di aiuto o conosci qualcuno che potrebbe averne bisogno, ricordati che esiste Telefono amico Italia (0223272327), un servizio di ascolto attivo ogni giorno dalle 10 alle 24 da contattare in caso di solitudine, angoscia, tristezza, sconforto e rabbia. Per ricevere aiuto si può chiamare anche il 112, numero unico di emergenza. O contattare i volontari della onlus Samaritans allo 0677208977 (operativi tutti i giorni dalle ore 13 alle 22).
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