Perché il trend demografico italiano non può più impedire il declino della popolazione

  • Postato il 12 ottobre 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Anche quest’anno si è tenuto in settembre a Mestre il Festival della Politica dal titolo Nascere al Mondo con sottotitolo Futuro e Demografia. Interessanti le analisi, ma “risparmiata” l’implicita conclusione che invece vale la pena portare in chiaro.

I dati demografici italiani evidenziano, più di altri Paesi europei, un trend marcatamente negativo delle nascite non più in grado di impedire il declino della popolazione. Sono ragioni economiche, sociali e culturali. Il crollo del welfare che ha colpito soprattutto il lavoro dei giovani attratti da Paesi più generosi verso le nuove generazioni non spiega tutto, perché anche qui il tasso di fertilità non sopravanza di molto la media europea.

Da una parte ha inciso certamente il noto mutamento storico della condizione femminile, ma dall’altra soprattutto un futuro che ha perso lo slancio vitale dell’ultimo nostro dopoguerra. Le promesse di benessere e di pace universale si sono rovesciate nel loro opposto con guerre, carestie, inquinamenti ed eventi climatici estremi che ci stringono sempre più da vicino. E chi vive delle briciole dello status di “occidentale” teme fughe migratorie incontrollabili su scala globale. La crisi di tutte le istituzioni sovranazionali chiude il quadro. La percezione è di scivolare lungo un piano inclinato che nessun sovranismo sarà mai in grado di raddrizzare. Insomma, ad ogni desiderio più o meno consapevole di fare liberamente figli sono tarpate comunque le ali, a fronte di un automatismo riproduttivo storico-culturale che non funziona più.

Investimenti nel welfare rivolti a liberare forza-lavoro femminile, al di là della loro dimensione ed efficacia, non otterrebbero il risultato di rimpinguare in tempo utile la fascia intermedia di popolazione attiva della piramide demografica riequilibrandola rispetto alla componente anagraficamente inattiva. E le risorse per garantire pensioni e sanità pubblica nel medio periodo non bastano più.

L’abbattimento dell’evasione fiscale che sabota il welfare potrebbe costituire un contributo rilevante, così come l’acquisizione di manodopera straniera attraverso una regolamentazione selettiva dei flussi immigratori che andrebbe rapidamente ad allargare la fascia di popolazione attiva, pur trattandosi di un aggiustamento provvisorio. Infatti, nel lungo periodo la popolazione immigrata, soprattutto se supportata da politiche inclusive, assume i comportamenti di quella autoctona, quindi anche quelli riproduttivi.

Soluzioni comunque non in linea con lo “spirito dei tempi”, per cui il sistema pare sospinto inesorabilmente verso il default. Il taglio dell’assistenza sanitaria, cioè della voce che maggiormente pesa sul bilancio di tutte le regioni italiane nonché dell’assegno pensionistico, per altro sempre più posticipato, incrementerà ulteriormente le diseguaglianze sociali che rappresentano il principale determinante negativo dello stato di salute. I farmaci salvavita ed i ricoveri ospedalieri sono ancora sostanzialmente garantiti nonostante l’allungamento dei tempi di attesa, ma già diverso è il caso di molti accertamenti diagnostici e visite specialistiche che sono transitati in gran misura alla sanità privata per chi se lo può permettere.

Una rinuncia forzata alle cure non può che tradursi, come tutta la letteratura scientifica ha ben documentato, in un incremento della mortalità generale che non potrà che esprimersi sulla popolazione più fragile, cioè quella più anziana e deprivata. Un anticipo di questo scenario l’abbiamo visto in occasione della recente pandemia. E questa mattanza continuerà inesorabilmente fino a quando la piramide demografica si sarà riequilibrata.

Il raddoppio della speranza di vita della popolazione ottenuto nei soli ultimi 150 anni è quindi destinato a retrocedere con altrettanta rapidità. Si obietterà che questa speranza di vita ancora non deflette, ma bisogna considerare che coloro che oggi la raggiungono sono i pronipoti di generazioni che hanno subìto carestie, guerre ed epidemie di ogni generare e che quindi sono andate incontro ad una sorta di selezione darwiniana che ha consentito la sopravvivenza dei soggetti biologicamente più resistenti. Con il miglioramento delle condizioni socio-economiche e sanitarie questo vantaggio selettivo è andato progressivamente sfumando. La maggiore fragilità così acquisita dovrà fare ora i conti con un montante “darwinismo sociale”, per dirla con Herbert Spencer, che sottrae ulteriori risorse difensive dello stato di salute proprio ai soggetti che ne avrebbero maggior bisogno. Con queste premesse, la speranza di vita non può che regredire, tanto più quella in buona salute.

Non si tratta di proiezioni ma di tendenze già in atto. Al proposito, l’epidemiologia ci consegna l’evidenza che per la coorte dei soggetti nati dopo il 1939 nei Paesi ad alto reddito l’aspettativa di vita appare in incontrovertibile diminuzione (Andrade J, 2025 & references). A ciò fa il paio l’osservazione di una anticipazione dell’insorgenza dei tumori nelle più recenti generazioni (Zhao J, 2023 & references), a fronte di un aggravio dei rischi per la salute.

Il riequilibrio dell’assetto demografico non costituisce un’opzione ma una necessità che però, nella situazione data, appare destinato a realizzarsi brutalmente, in contrasto con ogni moderno principio etico e giuridico.

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Il Fatto Quotidiano

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