Postumi di Poesia. Le vite dei poeti raccontate nel libro di Paolo Agrati
- Postato il 29 luglio 2025
- Editoria
- Di Artribune
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Le parole non afferrano mai completamente l’oggetto o l’azione che descrivono, anche se ci sembrano marmoree, soprattutto quando coinvolgono temi complessi come la fede o qualsiasi filosofia. Le parole sono un piccolo tentativo di descrivere la realtà, ma lo fanno sommariamente, in qualunque lingua siano scritte.
Cesare Pavese e Moby Dick
Cesare Pavese fu criticato aspramente per la sua traduzione di Moby Dick. Fu accusato di essere troppo giovane e troppo fan di Melville, di aver piegato il testo, di averci messo troppo del suo. Solo dopo aver comprato un e-book con un’altra traduzione ed essermi annoiato a morte venni a conoscenza dell’esistenza della versione di Pavese. Beh, non sono certo un esperto di traduzione e non ho manco letto il libro in lingua originale, ma credo che Moby Dick sia uno dei migliori romanzi che abbia mai letto. Poi, siccome per leggerlo in italiano qualcuno si sarebbe dovuto frapporre per forza tra me e Melville, mi piace pensare che questi sia stato proprio Cesare Pavese.
Dall’Intelligenza Artificiale alla musica contemporanea
Un computer può scrivere una poesia? Qual è la strada che da Esenin porta a Caparezza? Esiste il poeta peggiore del mondo? Un libro che contiene tutte queste domande, e tante altre, e quasi a tutte prova a dare una risposta. Non un insieme di poesie, dunque (sebbene non manchino pure quelle) ma uno spioncino umoristico e confidenziale su uno degli aspetti più intriganti della letteratura – del genere poetico, in questo caso – e cioè sulle vite degli autori e delle autrici.

Chi è Paolo Agrati
Paolo Agrati (Vimercate, 1974) è un poeta e performer; i suoi spettacoli sono stati ospitati in teatri e manifestazioni musicali e festival quali il Palau de la Musica di Barcelona, il MIAMI music Festival di Milano e il festival letterario CartaCarbone di Treviso. Nel 2017 fonda SLAM Factory, agenzia dedicata all’editoria e allo spettacolo con la quale negli anni ha organizzato eventi legati alla poesia e al poetry slam in collaborazione con teatri, comuni, scuole, enti e aziende come Vogue, Coop Lombardia e Zelig.
Il libro Postumi da Poesia
Ha pubblicato, tra le altre, le raccolte Nessuno ripara la rotta (La Vita Felice 2012), Amore & Psycho (Miraggi Edizioni 2014) e Poesie Brutte (Edicola Ediciones 2019). Postumi da poesia (Neo Edizioni, 2025) è il suo ultimo libro ed è anche quello di cui, con piacere, ci siamo fatti raccontare in questa intervista. Buona lettura.
Intervista a Paolo Agrati
È appena uscito per Neo Edizioni il tuo libro Postumi da poesia, che piuttosto che una raccolta di poesie sembra una “raccolta di poeti”; una silloge di aneddoti e piccole storie da usare a piacimento per fare colpo alle feste, o alle presentazioni.
In questo senso, ritieni che sia un libro più “utile” di altri che hai scritto? Ci parli di come è nato?
Il libro nasce da un podcast e a novembre diventerà uno spettacolo prodotto dalla Fondazione Solares e dal Teatro delle Briciole di Parma. Mi sono posto delle domande sulla poesia, alle quali ho cercato di rispondere soprattutto attraverso il racconto della debolezza, della fragilità, della banalità, della difficoltà delle vite dei poeti. L’obiettivo è anche quello di avvicinare la figura del poeta al lettore, di svelare allo stesso tempo l’eccezionalità e la normalità della poesia. Comunque, se poi può servire anche per far colpo alle feste, abusatene pure.
Il libro esplora con ironia il tema dell’incidente e del fallimento. Il poeta cileno Nicanor Parra, a proposito di questo, diceva perfino “La poesia morirà se non la si offende”.
La poesia, tra tutte, è un’arte fallimentare e fragile oppure ha più a che fare con il concetto di vittoria?
Parra è un poeta che amo molto. Un antipoeta, come lui stesso si definisce nella propria ricerca espressiva, uno che ha ribaltato il concetto di poesia proprio per affermarlo, facendo largo uso dell’ironia, strumento che anche io utilizzo. In Postumi da poesia la mia ricerca non è tanto quella del fallimento, ma della decostruzione del mito, non con volontà nichilista bensì con l’obiettivo di scardinare la distanza percepita dalla poesia. Il concetto di vittoria e fallimento, tanto caro al mondo contemporaneo che tramite la spasmodica ricerca del vincitore produce un’imbarazzante società di perdenti, è ciò che penso sia più lontano dal mio concetto di poesia.
A proposito di vittoria: tra libri, spettacoli e organizzazione di eventi sei uno dei pochi che sono riusciti a fare di questo mondo il tuo unico impegno lavorativo, tant’è che la dicitura “poeta” te la sei portata perfino sulla carta d’identità. Sei felice di questo? In generale, lo consiglieresti?
Chi fa poesia ha sempre un problema riguardo alla definizione di sé; ho sentito giri di parole orribili tipo: “artigiano della parola”, “umile servo della poesia” come se ci si vergogni, non ci si senta mai all’altezza della parola poesia; come se dirsi poeta fosse automaticamente paragonarsi a Dante. Si può essere poeti anche se si scrivono cose mediocri e pure se allo stesso tempo si fa un altro mestiere. Se uno fa l’architetto sulla carta d’identità scrive “architetto” senza che nessuno lo accusi di pensarsi Gropius o Le Corbusier.
Ovvero?
Nel libro racconto un episodio nel quale spoglio di ogni carica questo tabù; quando per il rinnovo del documento, l’impiegata dell’anagrafe mi ha colto alla sprovvista chiedendomi quale fosse la mia professione, le ho risposto poeta, e lei lo ha scritto. Non è stato molto difficile. Ad oggi, comunque, lo dico per chi ci vuole provare, non c’è più uno spazio dedicato alla professione sulla carta d’identità. È sì una cosa divertente, per far colpo al check-in, ma non è neanche così importante, per dirla tutta.
Attualmente sei uno dei principali organizzatori, insieme con Davide Passoni e Ciccio Rigoli che sono i tuoi soci, del poetry slam a Milano e in Italia. Il poetry slam è una sorta di battle di freestyle (ma senza l’obbligo di improvvisare) tra poeti performativi. Che prospettive ci sono per la poesia performativa in questo momento, e dove si può arrivare in un futuro (più o meno) prossimo?
Organizzare e promuovere il poetry slam è una delle mie attività; mi piace molto l’idea di stare a contatto anche dopo tanti anni, con una così vasta e creativa comunità nazionale e internazionale, è una cosa che mi fa bene. Rimane uno strumento culturale, un incubatore di creatività, una forma di spettacolo che sa conquistarsi i suoi spazi e offrire qualità. A volte viene capito, altre no, dipende da molti fattori legati a chi ascolta ma soprattutto a chi lo propone, il suo futuro è incerto come qualsiasi attività culturale in questo povero paese, perché come spesso dico, non esistono avanguardie ma soltanto un sacco di gente in ritardo.
Tu invece dove vorresti arrivare? C’è qualcuno dei grandi poeti e poete di cui parli nel libro a cui aspiri di somigliare in quanto a carriera?
La parola carriera, non mi è mai piaciuta, davvero non mi appartiene. Ho il privilegio di fare quello che voglio ed è una cosa rara per la quale mi accontenterei anche di un sussidio decente. Tra i poeti dei quali parlo nel libro il mio preferito è Dino Campana, al quale sento di voler bene per molti motivi, ma non direi di volergli assomigliare. Se dovessi dirti dove vorrei arrivare invece, potrei affermare senza dubbio che mi augurerei di morire con dei progetti in sospeso, ancora da realizzare.
Millenovecentosettantanove. Ai tre giorni del Primo Festival Internazionale dei poeti sulla spiaggia di Castel Porziano, località vicino Roma, parteciparono circa trentamila persone. Niente biglietto d’ingresso, niente servizio d’ordine, niente scaletta dello spettacolo, nessun punto di ristoro, niente di niente, praticamente un disastro organizzativo. Dopo l’ultima lettura, dopo aver tentato in tutti i modi e con una fatica tremenda di azzerare davvero la distanza tra poeta e pubblico, sia dal punto di vista ideale che da quello fisico, tutti i presenti salgono sul palco. Lo invadono e ne prendono possesso, come un’orda di barbari, ma coi pantaloni a zampa e i sandali. È in questo momento che succede qualcosa di magico, qualcosa che riassume simbolicamente l’anima di questo rocambolesco evento:
La struttura del palco, sotto il peso della folla non crolla; affonda piano, piano nella sabbia per portare letteralmente a terra, sullo stesso piano, la poesia, i poeti e la gente.
Maria Oppo
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