“Quando ha visto che eravamo lì per lui è stato contento. L’ultima cosa che ha detto? Grazie”: gli ultimi istanti di Daniele Pieroni raccontati dalla promotrice della legge sul fine vita in Toscana
- Postato il 11 giugno 2025
- Diritti
- Di Il Fatto Quotidiano
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“Se non te la senti di farlo, non ti devi vergognare di dire ‘io ho paura’, perché la paura è umana. Tu puoi scegliere”. Felicetta Maltese era con Daniele Pieroni il 17 maggio mentre quest’ultimo, primo caso in Toscana, esercitava la sua libertà di scelta: moriva con il suicidio assistito in casa sua, nel suo letto, autosomministrandosi il farmaco letale preparato per lui dalla Asl. Daniele è il primo cittadino toscano ad aver potuto usufruire dei benefici introdotti dalla legge regionale sul fine vita entrata in vigore lo scorso febbraio nel pieno rispetto delle sentenze della Corte Costituzionale. Nonostante il governo di Giorgia Meloni abbia impugnato la norma della Regione Toscana, la storia di Daniele ci insegna una cosa: dobbiamo avere rispetto per chi chiede di decidere come morire, per chi dice “questo dolore non lo sopporto più, non è vita”. Daniele Pieroni era una persona molto colta. Un giornalista, un poeta, uno scrittore. Felicetta Maltese si siede e con calma racconta. “Devo essere sintetica? Non so se ci riesco”. Te l’ha chiesto Daniele di essere presente? “Sì, mi ha detto che gradiva che fossi accanto a lui. E io ero lì insieme a suo padre, al suo amico del cuore Leonardo, alle badanti che lo hanno accudito e curato in questi anni di sofferenza e alla dottoressa e infermiera che lo hanno assistito”. Daniele era affetto da una grave forma di Parkinson dal 2008, la malattia gli impediva anche di deglutire, si nutriva con un sondino. “Quando ha visto che eravamo lì per lui, è stato contento. Non ho potuto tenergli la mano, aveva gli aghi infilati, quando si arriva ad essere magri come Daniele trovare le vene per la flebo è un problema. E poi le sue mani dovevano restare libere. È stato lui a spingere i tasti e ad attivare il diffusore del farmaco letale”.
Nel suicidio assistito funziona così, non è eutanasia, non c’è un medico a somministrarti il medicinale per morire. Devi essere tu, che fai richiesta, non solo ad avere il coraggio ma anche la forza fisica, la possibilità motoria di ingerire da solo il farmaco preparato. Daniele l’ha fatto, è andato fino in fondo, lui non l’ha bevuto, ha attivato premendo due pulsanti l’autosomministrazione meccanica.
“Vicino a lui c’erano la dottoressa e l’infermiera. Sono state meravigliose, empatiche, presenti, disponibili. Lo Stato c’era per l’ultimo saluto a Daniele”. Felicetta per la terza volta ha esercitato il suo ruolo di attivista, sostenitrice della prima ora della Campagna “Liberi subito” dell’Associazione Coscioni, ora è anche a processo, rinviata a giudizio per l’aiuto concesso ad un altro cittadino italiano, Massimiliano, toscano 44enne, affetto da sclerosi multipla, e accompagnato a morire in Svizzera da Felicetta, Marco Cappato, Chiara Lalli, prima che la Toscana si dotasse di una legge regionale in materia di fine vita. Il reato di “aiuto al suicidio” è punito con una pena da 5 a 12 anni di carcere. Gli anni che rischiano Felicetta e tutti gli altri.
Qual è l’ultima cosa che ti ha detto? “Grazie! E io gli ho risposto: buon viaggio“. “Aveva questa leggerezza nel sorriso, una delicatezza, un sorriso che gli illuminava il viso. Daniele era ormai diventato un marmo magro, sembrava evanescente. Era sereno“. È solo Felicetta che parla all’indomani della morte di Daniele: suo padre ultraottantenne, “Daniele l’ha voluto proteggere, gli ha detto tutto solo pochi giorni prima di andare fino in fondo”. Nella stanza c’erano anche le signore che lo hanno accudito fino alla fine: “Non stavano lì perché lui avesse ancora bisogno, ma per affetto, per l’ultimo saluto, una presenza spontanea. Abbiamo pianto tutti, anche io, ma con compostezza, lacrime silenziose, non di disperazione. Se n’è andato con il sorriso: era la sua ultima volontà, quello che desiderava”. Daniele si è addormentato in pochi minuti. “La dottoressa e l’infermiera poco dopo hanno controllato il battito, non c’era più”.
Ma voglio fare un passo indietro nel racconto di Daniele, perché nelle storie degli uomini e delle donne che rivendicano il diritto di scelta ci sono tutte le risposte allo stallo della politica. Chi si oppone ad una legge sul fine vita, rivendica che la strada maestra sono le cure palliative. “Il suicidio non è un diritto” ha detto il vicepremier e leader di Forza Italia Tajani. “Noi siamo per le cure palliative” rivendicano fieri da Fratelli d’Italia. Come se chi sceglie di morire non le avesse già provate, come se chi soffre non sapesse.
Felicetta conosce Daniele nel 2022: “Mi parla di lui la prima volta Leonardo Pinzi di Chiusi. Chiusi è un comune dove io ho vissuto per tredici anni e ho lavorato”. Pinzi è vicino di Daniele, conosce tutta la sua storia, sa che è già molto sofferente e completamente dipendente da terzi per mangiare, lavarsi, cambiarsi, andare in bagno, tutto. Pinzi racconta a Felicetta che Daniele è esausto, non ce la fa più, vorrebbe accedere al suicidio medicalmente assistito. “Aveva letto che era un suo diritto e voleva andare fino in fondo”. Felicetta si mette a disposizione, gli suggerisce di chiamare il numero bianco dell’Associazione Coscioni e chiedere aiuto. Daniele lo fa. Invia la prima richiesta alla sua Asl ad agosto del 2023. Passa del tempo e alla fine il servizio sanitario nazionale però manda a casa sua una dottoressa per accertare le sue condizioni e verificare se era in possesso dei requisiti previsti dalla Corte Costituzionale. “Questa dottoressa lo convince ad iniziare un percorso di cure palliative“. Daniele inizia, si sbatte tantissimo, fa tutte le terapie prescritte dal medico palliativista, alcune ad Arezzo, altre all’ospedale di Montepulciano: è una fatica enorme per lui che ha solo tre ore di autonomia al giorno, ma le fa. “Purtroppo però la situazione non migliora, anzi lui sta sempre peggio. Non era colpa delle cure palliative, semplicemente la sua malattia non gli lascia tregua. Lui si abbatte, sta peggio di prima. Inizia a disperarsi per aver perso il treno: accettando le terapie palliative aveva rifiutato di proseguire nel percorso di autorizzazione e accesso all’aiuto alla morte volontaria”.
A quel punto Felicetta si fa carico totalmente della sua situazione, lo rassicura, gli ripete che ha fatto bene a provare, che la vita vale più di un tentativo e comunque lui avrebbe potuto in qualsiasi momento ritornare sui suoi passi, riprendere il percorso del suicidio assistito. “Niente è perduto, tu sei sempre libero“. Daniele presenta una nuova richiesta alla sua Asl il 25 febbraio del 2025: “Ho fatto le cure palliative, non hanno purtroppo dato i risultati sperati, chiedo di poter morire con il suicidio assistito”. Siamo così al 2025, due anni dopo la prima pec al servizio sanitario nazionale. Il 22 aprile l’Asl gli risponde positivamente e manda al suo domicilio un altro medico a visitarlo. Nel frattempo era stata approvata la legge toscana sul fine vita, quindi lo scenario era diverso. Daniele aveva una legge dalla sua parte che di fatto ricalca la sentenza della Corte Costituzionale 242 del/2019. Daniele aveva i suoi diritti, riconosciuti a pieno.
“Lo stesso giorno della visita gli hanno mandato anche la lettera di conferma di accettazione della sua richiesta”. Ci sono volute altre due settimane per avere notizie in merito alla modalità di autosomministrazione e al farmaco idoneo al suo caso. “Voleva morire il 2 maggio, era la data che aveva scelto. Ma ha dovuto aspettare. Era la prima volta che la nuova norma toscana si applicava, ho saputo che è stato chiesto ai medici e agli infermieri chi si offriva volontariamente”. Sia la dottoressa che l’infermiera che avevano fatto visita a Daniele accettano. “Hanno fatto tutto loro due, hanno preparato il farmaco, hanno fornito a Daniele tutte le spiegazioni necessarie, gli hanno fatto firmare vari fogli. C’era anche un medico legale. C’è stato per tutto il tempo un dialogo sereno, piacevole, empatico, molto empatico. Le dottoresse sono state veramente eccezionali. Bello, questo è stato importante”.
Per la prima volta in Toscana dei medici del servizio pubblico hanno spiegato qual era la composizione del farmaco, gli hanno spiegato che lo sistemavano in due pompe diverse da attivare una dopo l’altra, che lui avrebbe attivato da sé. Gli hanno cercato la vena per mettergli la soluzione intanto che preparavano i farmaci adeguati. “E Daniele era sereno, si è fatto trovare preparato, spiritualmente e fisicamente. Era sorridente, si è sentito importante, libero, come a chi viene riconosciuto un giusto desiderio, un diritto primario”.
Daniele aveva tre ore di autonomia al giorno, le uniche tre ore in cui non era attaccato alle macchine, alla nutrizione. Non faceva però lunghi viaggi, usciva di casa e lentamente entrava in quella del suo vicino, Leonardo. Si mettevano in giardino, bevevano dell’acqua, parlavano della vita e poi lui piano piano, si alzava e ci metteva tanto tempo per fare pochi metri e tornare nel suo letto. Non aveva paura della morte Daniele. Aveva paura della sua sofferenza.
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