Raccontati di te

  • Postato il 10 settembre 2025
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  • Di Il Vostro Giornale
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Generico settembre 2025

“Spesso si dice che questa o quella persona non ha ancora trovato se stesso. Ma il proprio sé non è qualcosa che si trova, è qualcosa che si crea” afferma lo psichiatra ungherese Tamás István Szász. Personalmente concordo con questa prospettiva esistenziale che confligge, evidentemente, con la più nota affermazione della cultura classica “Conosci te stesso”. La differenza fra i due approcci può essere compresa riconoscendo il rovesciamento dei ruoli e la differente natura dei due protagonisti dell’atto gnoseologico, chi conosce e ciò che dovrebbe essere conosciuto. Nel primo caso il protagonista è l’uomo-artista-creatore di un sé in perenne divenire; nel secondo l’essenza, immutabile per definizione, è già data e compito del soggetto è quello di comprenderla. Pur riconoscendo il possibile permanere del pericolo della schizofrenia, che il soggetto sia creativo e l’oggetto diveniente o che l’oggetto sia dato e il soggetto direzionato, permane sottintesa la dualità dell’io, il doppio, il doppelganger, questo è abbastanza evidente, è pertanto indispensabile tracciare una netta linea di demarcazione tra le due prospettive poiché ben diverso è pensare che la mia essenza, anima, coscienza, natura profonda, abbia una causa a me esterna e sia mio compito, in quanto altro, di comprenderla per sapermi, rispetto al concepirmi come responsabile dell’atto di creazione di me che vado a modificare e riplasmare a ogni passo. Credo sia evidente un possibile rimando all’esortazione pindarico nietzscheana “divieni ciò che sei”: la cifra filosofica rivoluzionaria espressa in questa “illuminazione” cancella “con un colpo di spugna” più di duemila anni di metafisica per aprire le porte a una proposta esistenziale e prospettica del tutto nuova. Si passa dalla comprensione di un “te stesso” già dato alla costruzione dinamica di un “te stesso” inteso come relazione che si disvela e si realizza in una perenne “dialettica dell’identità”. Il compito di conoscere se stessi si trasforma, in questo modo, in un viaggio incontro alla scoperta-realizzazione di un sé che è apertura ospitale all’incontro.

Senza addentrarci in un terreno più ampio tentando una qualche realizzazione di una gnoseologia generale, torniamo al tema, comunque immenso, del come potrebbe essere possibile una qualche “comprensione accoglienza costruzione” del sé. Ogni conoscenza che ci è dato acquisire si realizza attraverso una narrazione, ogni incontro, non importa se con fenomeni fisici, psichici, storici, scientifici, diviene qualcosa in noi nel momento in cui le esperienze raccolte vengono organizzate all’interno di una narrazione che sintetizza i dati e la capacità narrante del soggetto. Questo ci riporta alla questione del dualismo che pervade ogni racconto, quello tra il soggetto narrante e i contenuti della narrazione, risolve però detto dualismo nella sintesi perfetta del racconto. Se l’oggetto del racconto è il soggetto stesso narrante, insomma, se sto raccontando me stesso a me, il meccanismo dialettico del doppio si scopre unità nella vicenda personale che ad ogni istante si arricchisce e si evolve nelle figure successive, diviene fondamentale, a questo punto mi sembra evidente, concentrarci sulla qualità della narrazione interrogandoci: come possiamo renderla un’opera d’arte piuttosto che un balbettio? Credo che il punto di partenza sia quello della sincerità verso se stessi ricordando il monito dell’intellettuale francese Rémy de Gourmont: “Vi è una persona con la quale non arriviamo mai a essere del tutto sinceri, benché sappiamo che essa ci conosce a fondo e possiamo contare sulla sua benevolenza: noi stessi”.

Non esistono ricette al riguardo, ognuno deve trovare in sé il coraggio per non auto ingannarsi, per essere preventivamente ospitale nei riguardi di chi si incontrerà, disponibile ad amarlo, a suggerirgli riflessioni critiche, a perdonarlo o a rimproverarlo con severità. Chiarite le premesse, che potremmo definire etiche, è tempo di passare alle competenze tecniche del raccontare. Mi sembra utile allo scopo l’affermazione dell’amico Gershom Freeman che sostiene intercorra una profonda e sostanziale differenza tra la letteratura e la narrativa in quanto la prima usa la vicenda per suggerire altro, mentre la seconda si risolve nel piacere dell’atto anche quando assurge a vette estetiche importanti. Se riportiamo la distinzione all’interno del “nostro racconto di noi a noi stessi” ecco che la risultante, la sintesi dinamica di cui sopra, insomma, noi, possiamo caratterizzarci come un testo di narrativa o più alta letteratura. Attualizzando l’allegoria potremmo affermare che un’accattivante rappresentazione del sé potrebbe anche riscuotere un considerevole numero di like e gratificarci riconoscendoci nel consenso, ma questo ci ingabbierebbe nella masturbatoria circolarità di un perdersi nell’immagine di sé, precludendoci l’incontro con le profondità che meritiamo di sapere. Allo stesso modo, se il linguaggio del “testo che andiamo a scrivere diviene assolutamente autoreferenziale”, se il compiacimento non lo si incontra nel consenso ma nella propria solipsistica autocelebrazione, non ci si lagni della solitudine che ne consegue. È fondamentale rendere il proprio raccontarsi sempre più efficace, in raffinato e maturo equilibrio tra gli estremi sopra indicati, rammentando che, se anche il primo lettore e, per certo, il più importante, siamo noi stessi, rimane rilevante anche il ruolo degli “altri”, i lettori esterni, quelli che ci aiutano a meglio proseguire nel miglioramento del racconto senza trascurare il fatto che risulterà importante scegliere a quale genere di pubblico intendiamo rivolgerci. 

Scriveva il poeta Joë Bousquet: “Porto in me un individuo irrivelato. Mi conosce, ma non so niente di lui, eccetto che la mia persona è la sua ombra con i suoi appetiti inconfessabili e il suo bisogno di segreto”, mi sembra evidente che, in questo caso, il pericolo della schizofrenia permanga anche se lo sdoppiamento, meglio ancora, la frantumazione costante dell’io lo salva dal pericolo di una superficiale e ingannevole sclerotizzazione, però mi sembra importante soffermarci sulla chiusa dell’aforisma nella quale si rivela la presenza del “bisogno di segreto”. Condivido assolutamente l’intuizione di Bousquet, non tutto troverà mai luogo nella narrazione, almeno, non in quella fruibile anche dagli altri, meravigliose e terribili pagine del nostro diario segreto è Kalos kai agathos, bello e buono, che rimangano accessibili solo a noi stessi. Potremmo addirittura affermare che l’io più vero sia il segreto che occhieggiamo circospetti in rari momenti di solitudine, quando la paura è vinta dal coraggio e dalla curiosità, ecco che ghigni e sorrisi si confondono rivelando sguardi famigliari. Sicuramente condivisibile l’affermazione di Erich Fromm: “Il compito principale nella vita di ognuno è dare alla luce se stesso”, però è opportuno aggiungere, a mio modo di vedere, che una simile azione non è mai un uno a tantum, un parto iniziale o conclusivo, uno staccarsi dal generato per osservarlo nel suo incedere successivo, quanto piuttosto un atto d’amore che ci accompagna per tutta la vita e amare, spesso, coincide con la cura, dell’altro o di sé, nel momento della sofferenza. Non è un caso che i periodi di particolare inquietudine, così come i traumi fisici o psichici, inducano in momenti di “narrazione e ascolto” di estrema profondità, è quando impariamo a prenderci cura di noi o, per rimanere nell’allegoria, è quando ci occupiamo con passione della creazione letteraria di noi, ci ascoltiamo mentre la realizziamo e quando andiamo a rileggerla, la correggiamo, la raffiniamo, insomma, ci curiamo del nostro dolore e ci regaliamo pagine di verità su noi stessi per aprirci al mondo e imparare a regalare amore anche agli altri, ecco che la conoscenza si eleva a terapia e trasforma la sofferenza in opportunità.         

Per un Pensiero Altro è la rubrica filosofica di IVG, a cura di Ferruccio Masci, in uscita ogni mercoledì. Perchè non provare a consentirsi un “altro” punto di vista? Senza nessuna pretesa di sistematicità, ma con la massima onestà intellettuale, il curatore, che da sempre ricerca la libertà di pensiero, ogni settimana propone al lettore, partendo da frasi di autori e filosofi, “tracce per itinerari alternativi”. Per quanto sia possibile a chiunque, in quanto figlio del proprio pensiero. Clicca qui per leggere tutti gli articoli.

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Il Vostro Giornale

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