Referendum cittadinanza: col Sì diremo ai giovani di origine straniera che questo è anche il loro Paese
- Postato il 21 maggio 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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di Filippo Miraglia, responsabile Immigrazione Arci Nazionale
I referendum dell’8 e 9 giugno rappresentano un passaggio importante per la nostra democrazia. Raggiungere il quorum è possibile e per farlo è importante tenere insieme la lotta per i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori con quella per il diritto alla cittadinanza. I diritti umani, i diritti civili e i diritti sociali sono sotto attacco da molti anni e le nostre democrazie, che sembravano spazi sicuri per garantirli, luoghi di emancipazione delle persone, sono diventate luoghi nei quali si afferma sempre più la legge del più forte, in sfregio ai principi fondanti della Costituzione.
Nel nostro Paese da più di trent’anni c’è una legge sulla cittadinanza che produce effetti negativi su centinaia di migliaia di persone che nascono in Italia, che frequentano scuole e università, che lavorano e che sono costrette ad attendere più di dieci anni per avanzare la richiesta di vivere, almeno formalmente, nelle stesse condizioni di tutti gli altri e tutte le altre. Una legge sbagliata, la legge n.91 del 1992, con conseguenze negative sulla nostra società e sulla nostra democrazia.
Il referendum non è una riforma, la riforma che servirebbe. Vuole ottenere però un risultato piccolo ma molto importante: la riduzione del periodo necessario ad avanzare la richiesta di cittadinanza da dieci a cinque anni, permettendo così anche la trasmissione automatica della cittadinanza ai figli e figlie minorenni. È un primo passo che darà la possibilità a molte persone di sentirsi finalmente parte del Paese in cui vivono e per il quale contribuiscono ogni giorno.
I dati pubblicati di recente dall’Istat ci dicono infatti che il nostro Paese sta già spingendo molti giovani a cercare lavoro all’estero. Tra questi è crescente la percentuale di giovani di origine straniera che, oltre a non trovare un lavoro dignitoso nel nostro Paese, non si sentono a casa loro in un’Italia che li considera e li tratta da estranei. Quello che è in gioco quindi non è solo una singola modifica di una legge sbagliatissima, ma è anche un segnale che la società italiana può dare alle persone di origine straniera, soprattutto a ragazzi e ragazze che qui sono nate e cresciute.
Con il Sì al referendum sulla cittadinanza diremo a loro che questo è anche il loro Paese e che la maggioranza degli italiani e delle italiane li considerano cittadin* alla pari. In Italia, come nel resto dell’Unione Europea, in questi anni c’è stato un progressivo peggioramento della rappresentazione pubblica del mondo dell’immigrazione, che è servito ad alimentare odio e rancore, giustificando interventi legislativi e politiche repressive e liberticide. L’uso strumentale del tema dell’immigrazione per fini elettorali ha rappresentato la fortuna di alcuni movimenti e partiti politici e di singoli leader, che hanno costruito la loro carriera attraverso campagne anti immigrazione.
Questo processo, che oramai dura da più di due decenni, si è sempre più consolidato anche per l’assenza di una alternativa. Nel dibattito pubblico, caratterizzato da una presenza asfissiante di politici e giornalisti e dall’assenza quasi totale della società civile e, ancor di più, delle stesse persone di origine straniera, non c’è mai stato un soggetto che abbia investito con la stessa forza e determinazione sull’idea di una società aperta e plurale, come unica via per una democrazia matura. All’impegno straordinario delle destre xenofobe, che puntano a indirizzare i propri elettori e, più in generale, i cittadini e le cittadine italiane, quindi a perseguire l’egemonia, ha corrisposto un impegno debole e frammentato delle forze democratiche e di sinistra, spesso caratterizzato da un approccio difensivo e impaurito dall’opinione pubblica.
Il referendum è uno strumento che consente agli elettori e alle elettrici di esprimersi direttamente su una questione specifica, di rilevanza politica e culturale, senza doversi affidare alla mediazione dei partiti. In questi ultimi anni infatti, come dimostrano tutti gli ultimi appuntamenti elettorali, l’astensione ha raggiunto numeri davvero preoccupanti.
Non c’è solo un cambiamento nella società e nella mancanza di consapevolezza che le persone hanno della centralità della partecipazione al voto per determinare il futuro comune. C’è senz’altro anche un progressivo allontanamento dei partiti dalla società, che ha prodotto una crescente sfiducia e la conseguente alta astensione.
Il referendum dell’8 e del 9 giugno è senz’altro una grande occasione per mobilitare tutte quelle persone e quelle forze sociali che hanno perso fiducia nei partiti, ma non nella politica intesa come partecipazione alla vita società nella quale viviamo. Mancano pochi giorni e bisogna fare ogni sforzo per motivare e coinvolgere quante più persone possibili. È una impresa difficile ma non impossibile. Un’impresa davvero importante per invertire la rotta di una società che rischia altrimenti il declino.
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