Referendum lavoro: perché il Sì al terzo quesito argina il precariato
- Postato il 4 giugno 2025
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di Carlo Sorgi*
Riferimento normativo oggetto del referendum abrogativo è l’art.19 D.Lgs.81/2015:
1. Al contratto di lavoro subordinato può essere apposto un termine di durata non superiore a dodici mesi. Il contratto può avere una durata superiore, ma comunque non eccedente i 24 mesi, solo in presenza di almeno una delle seguenti condizioni:
a) nei casi previsti dai contratti collettivi di cui all’articolo 51;
b) in assenza delle previsioni di cui alla lettera a), nei contratti collettivi applicati in azienda, e comunque entro il 31 dicembre 2025, per esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva individuate dalle parti;
b-bis) in sostituzione di altri lavoratori.
La normativa è stata più volte modificata dai vari governi che si sono succeduti. La tendenza dell’evoluzione legislativa dalla fine degli anni ’90 era sicuramente nel senso di rendere più facile e flessibile il ricorso al contratto a termine, che la legge del 1962 consentiva solo in un numero limitato e tassativo di ipotesi. Questo processo di flessibilizzazione prese avvio già con il d.lgs. 368/01, che, superando la precedente e tassativa impostazione, riteneva sufficiente, nella sua formulazione originaria, genericamente una motivazione di carattere tecnico, organizzativo, produttivo o sostitutivo.
L’obbligo di causali per i contratti a termine fino a dodici mesi era stato eliminato nel 2015 con il Jobs act del governo Renzi. La riforma puntava a rendere il mercato più flessibile a vantaggio delle imprese: per farlo aveva consentito la stipula di contratti a termine della durata fino a 36 mesi senza causale, a patto che ogni contratto fosse prorogato non più di cinque volte e i precari non superassero il 20% del totale dei dipendenti dell’azienda, salvo diversa previsione dei contratti collettivi. A metà 2018 gli occupati a termine avevano superato i 3 milioni . La causale era stata poi reintrodotta nel 2018 con il decreto Dignità del governo Conte, che prevedeva l’obbligo di indicare una causale – esigenze temporanee, sostituzione di altri lavoratori o esigenze legate a incrementi temporanei e non programmabili dell’attività – per i contratti superiori a 12 mesi, limitandone la durata massima a due anni e riducendo a quattro le proroghe.
L’ultima modifica risale al 2023 con il decreto Lavoro del governo Meloni. Nel testo, ora in vigore, si esclude per i rinnovi e per le proroghe l’esigenza delle causali per i contratti fino a 12 mesi, mentre sono state introdotte nuove causali per i contratti con durata compresa tra i 12 e i 24 mesi. Nell’ultima stagione, dunque, abbiamo assistito alla liberalizzazione totale dei contratti a termine, perché per i primi 12 mesi non è richiesta nessuna motivazione specifica per apporre il termine a un contratto.
In Italia circa 2 milioni e 300 mila persone hanno contratti di lavoro a tempo determinato. Anche in un contesto del mercato del lavoro in cui oggi l’occupazione complessivamente cresce, abbiamo ancora un forte ricorso alle assunzioni con contratto a termine che conducono alla situazione di incertezza e di precarietà tanti lavoratori nel nostro paese. Lavoratori che non possono affittare una casa, non possono contrarre un mutuo e così via. Il referendum reintrodurrebbe un criterio selettivo e limitativo per assumere a termine, nel senso che una accolto il referendum ci vorrà una ragione per concludere un contratto a termine anche nei primi 12 mesi.
Se venisse accolto il quesito referendario, la modifica sarebbe nel senso che si potrà assumere a termine solo per i casi e le causali previsti dai contratti collettivi sottoscritti dai sindacati maggiormente rappresentativi, rimettendo quindi alle parti sociali l’individuazione di congrue causali, cioè di motivi concreti che possono autorizzare l’utilizzo di questo strumento.
Secondo l’opinione contraria al referendum, questo tipo di contratti risulta positivo per l’economia e per il mercato del lavoro. Infatti nella stragrande maggioranza dei casi sono diventati un canale di ingresso nel mercato del lavoro, una specie di periodo di prova più lungo, anziché un vicolo cieco: aumentarne i costi burocratici rischia di essere a detrimento della creazione di lavoro stabile. Rendere il mercato più rigido non facilita la possibilità di trovare un’occupazione stabile, ma, al contrario, crea immobilismo e meno possibilità per chi si affaccia al mondo del lavoro, quindi in particolare per i giovani.
L’opinione favorevole al referendum richiama il tema generale della flessibilità. La riforma costante del contratto a termine esprime anche il valore attribuito alla flessibilità del lavoro che, per oltre 25 anni, ha costituito, anche a livello europeo, il mainstream della materia. Oggi anche le organizzazioni internazionali che maggiormente avevano sostenuto queste idee (Ocse, Fondo Monetario Internazionale, Banca Centrale Europea) sono arrivate ad ammettere che la flessibilità del lavoro non produce gli effetti promessi sull’occupazione. Anzi, al contrario, una diffusione eccessiva di rapporti a termine può produrre conseguenze negative sui livelli di produttività, sugli investimenti formativi e quindi sulla stessa qualità del lavoro, inteso quale strumento fondamentale di creazione di valore per le imprese.
Quindi una volta riconosciuto che la flessibilità non è un valore per il lavoro ma solo un vantaggio, peraltro a breve termine, per l’impresa la proposta mira a sottoporre alla valutazione della contrattazione collettiva la possibilità di consentire i contratti a termine, nell’interesse di tutti. L’indicazione della causale è importante perché permette al lavoratore di contestare la validità del contratto e richiedere al giudice di convertirlo in un contratto a tempo indeterminato se la causale non è valida o sufficiente a giustificare la scelta del datore di lavoro.
Se vince il sì, torna l’obbligo per le aziende di indicare nel contratto le ragioni della durata a termine piuttosto che a tempo indeterminato in riferimento a quelle stabilite dalla contrattazione nazionale. Si tratta di una misura anti-precariato, a tutela e garanzia del dipendente, perché arginerebbe il ricorso sistematico ai contratti a termine senza giustificazione.
*Entrato in magistratura nel 1983, dal 2010 in Tribunale a Bologna come giudice del lavoro e nel febbraio 2018 come Presidente della sezione lavoro. In pensione dal giugno 2021
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