Ripamolisani, un borgo in equilibrio tra un luogo spettrale e un altrove indefinito

  • Postato il 18 agosto 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Verso Campobasso provenendo da Termoli sulla statale 647 dopo aver passato il lago di Guardialfiera, un invaso artificiale che visto da distante è così bello che sembra impossibile non sia lì da sempre, alla vostra destra scorgerete Ripalimosani appeso per aria. Svetta la cupola policroma della chiesa di Santa Maria Assunta in Cielo e ci si chiede chi mai possa vivere in quella nube di case affastellate che, in piena estate, evocano già un presepe. E così si prosegue. Ma l’immagine impressa di Ripalimosani persiste, rimane appiccicata addosso.

Così, dopo una visita a una uggiosa Campobasso già pronta per l’autunno, ci si ferma a Ripalimosani per scoprire cosa ci sia di così magnetico da costringere a una sosta. E si scopre che è la desolazione di un paese cadente, eppure pieno di meraviglia. La passeggiata inizia inerpicandosi su una ripida scalinata principale che porta al Palazzo Marchesale, adiacente alla chiesa. Diverse e tutte bellissime e scalcagnate sono le scale da affrontare per inoltrarsi tra le tipiche case da borgo medievale di Ripalimosani, e capitarci per caso è una delle più belle cose che mi potevano capitare girando per il Molise.

Il tramonto rende Ripalimosani in equilibrio tra un luogo spettrale e un altrove indefinito che spinge a connettere passato e presente, a rendere familiare, ad orientare la propria coscienza e sentire l’ineffabile privilegio di scorgere ricchezza nella desolazione. Ma forse non è la parola del tutto giusta. Forse Ripalimosani è in attesa, incerta, appesa nel tempo, invivibile e ammaliante, in urto con la civiltà, inattuale nel suo placido altrove che allenta la frenesia di dover andare da qualche parte. E a maggior ragione dopo aver visto luoghi turistici chiassosi e artificiali attraversati in un viaggio lungo l’Italia adriatica, Ripalimosani appare come destinazione naturale e un riposo, al riparo dall’urto angoscioso della “techno-intelligente” civiltà.

Molte case di Ripalimosani sembrano abbandonate di fretta e furia, salvo qualcuno non c’è nessuno. Le porte sono semiaperte ed è possibile scorgere all’interno ancora brandelli di un qualche povero arredo. Flussi di popoli antichi hanno lasciato qualcosa di ineffabile, e le rovine sconcertano, contrastano i valori eterni che, nonostante tutto, emanano da Ripalimosani.

Salendo in cima, ho scorto un seminascosto bar con un piccolo gruppo di uomini seduti, intenti a bere e chiacchierare in un dialetto incomprensibile, e ho pensato ad un saloon del Far West, a quegli sguardi e a quei silenzi intensi che si creano quando gli avventori scorgono uno straniero che transita davanti a loro. E poi sulla sommità, da una porta della chiesa che è disposta su tre livelli, ecco il vociare di bambini che provano uno spettacolo teatrale per la festa del patrono San Michele, il 29 settembre, suppongo. Il richiamo delle loro voci è in perfetta sintonia con Ripalimosani, speciale e genuina, fatta di piccole cose, momenti di gioco, scoperta e affetto.

Mentre scendevamo lungo il dedalo di scale e case, così appiccicate tra loro che sembrano sostenersi l’una con l’altra, una famiglia nigeriana, in ghingheri sgargianti, esce da una casa, forse per andare fuori a cena. E mi sovviene che è sabato anche a Ripalimosani, dove pensavo che il tempo non esistesse per davvero. “E’ tempo di andare”, mi dico, chissà cos’altro nasconde Ripalimosani, ormai alle mie spalle.

E penso che in questi giorni, mentre le guerre generano morte e distruzione e assistiamo in mondovisione allo sterminio di un popolo, la desolazione, l’assenza e l’incanto di Ripalimosani sembrano un monito silente contro il vero vuoto: la desertificazione del sentire umano.
Ciao Molise, arrivederci e grazie.

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Il Fatto Quotidiano

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