Sentenza caso D’Arca a Crotone, le motivazioni
- Postato il 10 giugno 2025
- Notizie
- Di Quotidiano del Sud
- 2 Visualizzazioni

Il Quotidiano del Sud
Sentenza caso D’Arca a Crotone, le motivazioni
Omicidio D’Arca a Crotone, il nipote assolto perché il delitto fu frutto di un’azione improvvisa del nonno. Nei motivi della sentenza d’appello bis si insiste sul carattere improvviso dell’azione compiuta dall’anziano
Non poteva prevedere che suo nonno avrebbe compiuto un omicidio. Perché quel gesto era «frutto di un improvviso ed estemporaneo proposito». E perché il delitto fu commesso quando «l’azione minacciosa che in origine rappresentava l’unico fine perseguito dai due imputati si era ormai arrestata».
Si conoscono i motivi per cui, nel processo d’appello bis, il 35enne Giuseppe Cortese è stato assolto dall’accusa di concorso anomalo nell’omicidio di Stefano D’Arca, commesso davanti al centralissimo bar Moka, sotto i portici, l’8 marzo 2019. La sentenza era stata emessa 90 giorni fa dalla Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro e recepisce la richiesta degli avvocati Francesco Laratta e Ilda Spadafora.
OMICIDIO D’ARCA, LE MOTIVAZIONI
Dalle motivazioni, appena depositate, si evince perché la puntuale ricostruzione, operata dalla difesa, del contesto in cui sono maturati i fatti sia fondamentale per comprendere l’epilogo. Ma un anno fa una traccia l’aveva data la Corte di Cassazione che, confermando in via definitiva la condanna per Francesco Pezziniti, 81enne, aveva stabilito che era da rifare il processo per il nipote, tra i proprietari del bar in cui era iniziata la lite. Per Pezziniti è passata ormai in giudicato la pena di 15 anni e 7 mesi di reclusione. Per Cortese i supremi giudici avevano annullato con rinvio la condanna a 10 anni e 8 mesi per concorso anomalo nell’omicidio.
IL PROCESSO
Alla luce di quel verdetto, la Procura generale aveva chiesto la derubricazione dell’omicidio in minaccia aggravata e quindi proponeva una pena di 2 anni e 4 mesi. I giudici hanno condannato Cortese soltanto per la detenzione dell’arma a 1 anno e 4 mesi di reclusione (pena sospesa) escludendo la minaccia aggravata. L’anziano, si ricorderà, è reo confesso. Pezziniti si è attribuita l’esecuzione materiale del delitto. Ma l’accusa originaria era quella di concorso in omicidio per entrambi, e per il giovane in qualità di istigatore, con i connessi reati in materia di armi (per Pezziniti anche di detenzione illegale di una seconda pistola e delle relative cartucce). La Corte non ha stabilito risarcimenti per i familiari della vittima, per i quali si erano costituiti parte civile gli avvocati Fabrizio Gallo, Mario Nigro, Emanuele Procopio.
CASO D’ARCA, LA VICENDA
D’Arca, vecchia conoscenza delle forze dell’ordine (nel suo passato ci sono episodi di tentata estorsione, lesioni, violenza privata), avrebbe letteralmente devastato il locale. La lite tra D’Arca e Cortese sarebbe degenerata alla chiusura. Il primo, cliente abituale che spesso pare non pagasse e offrisse anche consumazioni gratis ai propri amici, avrebbe molestato gli avventori. Inoltre, avrebbe danneggiato una zuccheriera, il bancone e una vetrina da cui aveva prelevato una bottiglia. Pare fosse l’ennesimo episodio del genere. Giuseppe Cortese chiama il padre Luciano che, con l’ausilio di alcuni dipendenti, separa il figlio e D’Arca, ma neanche lui riesce a riportare la calma. A quel punto il giovane chiama il nonno, che abita a due passi da lì ed è il titolare dell’hotel Concordia. Sempre il giovane recupera una pistola del nonno in uno sgabuzzino dell’hotel e torna sul posto. L’intento era quello di minacciare D’Arca.
SETTE COLPI
Il nonno però prende l’arma dalle mani del nipote e la ripone in una tasca del giubbotto. Il nonno e il nipote a quel punto affrontano D’Arca mentre questi va in escandescenze e prende a calci bidoni di spazzatura sotto i portici e con atteggiamento di sfida dice al giovane che non avrà il coraggio di sparare. Pezziniti dice che il coraggio di sparare lo ha lui. Sette i colpi partiti da quella maledetta calibro 7,65 con la matricola abrasa, cinque dei quali raggiunsero al petto D’Arca, che morirà in ospedale poco dopo. Suo figlio Luciano Cortese dice al padre: «Sei impazzito?». Il nonno chiama l’ambulanza del 118 e la polizia, che gli sequestra a casa un’altra pistola clandestina. La vicenda fu ricostruita rapidamente dalla Squadra Mobile della Questura grazie alla visione di immagini registrate dalla videosorveglianza.
Dalla corposa istruttoria dibattimentale è emerso, scrivono i giudici, che l’omicidio fu consumato «quando ormai Cortese aveva desistito dall’attuare ancora i suoi propositi intimidatori». Tanto è vero che «la pistola, inizialmente prelevata con tale finalità, fu riposta da Pezziniti nella tasca del suo giubbotto impedendone l’uso».
LEGGI ANCHE: Omicidio D’Arca a Crotone, condanna definitiva per Pezziniti
Il Quotidiano del Sud.
Sentenza caso D’Arca a Crotone, le motivazioni